Ibrida: una birra che nasce dagli avanzi di pane
Sembra che la legge di conservazione della massa sia fatta apposta per adattarsi a un nuovo processo chimico (o, meglio, gastronomico): quello del pane… e della birra. Tutto questo, per generare un prodotto speciale, nascosto in una bottiglia di vetro brunita, che porta sull’etichetta il nome di “Ibrida”.
Da scienziati buongustai quali siamo, però, vediamo di dire qualcosa in più su questa nuova misteriosa trasformazione, degna di un manuale (ricettario) universitario.
Si parte dal pane, e, dunque, da semplici acqua e farina, impastate dal lavoro umano. Parlare di pane, però, non è dire tutto: pane, sì, ma pane secco, avanzato. In breve: quel pane che, altrimenti, sarebbe stato buttato via. Qui già emerge un dettaglio di questo processo tutt’altro che trascurabile; il fine non è quello di creare dal nulla, quanto di nobilitare, e dare compimento a ciò che è normalmente destinato a diventare spreco.
E lo spreco, di pane, in particolare, non è una di quelle noticine a piè di pagina, che lo studente medio tralascia per abitudine. In Italia, guardando al totale del cibo che viene gettato, la componente “pane” arriva fino a rappresentarne il 19%. Un po’ troppo consistente per essere trascurata tra le righe…
Volendo andare più a fondo nell’ingrediente chiave contenuto nella bottiglia, si può analizzare la provenienza. In quanto progetto cominciato nel cuore di un laboratorio del Politecnico milanese, il pane coinvolto nella trasformazione parla dialetto meneghino; con le rispettive flessioni caratteristiche dei diversi quartieri. Non a caso, la si definisce “Birra di quartiere”.
Inizialmente prodotta in zona Bovisa, con la collaborazione del birrificio La Ribalta, si è poi spostata a raccogliere le materie prime di altri panifici. Davide Longoni, con i suoi “avanzi” (chiamarli così mette quasi in soggezione…) di pane di segale rimasto invenduto, ha contribuito all’edizione speciale di “Ibrida per Chiaravalle”. Perché Chiaravalle? Be’, perché la sua farina di segale nasce proprio lì; ma questa è un’altra storia…
Raccolto il pane secco, dunque, il meccanismo magico si mette in moto, dando origine a un liquido ambrato, con sentori morbidi, profumati… fragranti, come le pagnotte da cui ha avuto origine. A muovere la produzione ci sono quattro giovani designer, che, da un’idea innovativa per aiutare lo sviluppo sostenibile, hanno tratto una nuova legge chimica capace di soddisfare il palato e l’ambiente.
Sedetevi a un tavolino di un bistrot, fatevi servire una Ibrida, e pensate ancora un attimo a quello che avete nella bottiglia. Era pane secco, destinato a entrare nel circolo sterile dello spreco; è diventato materia prima preziosa per un nuovo ciclo di vita. Un ciclo che parte dagli avanzi, e diventa birra, abbracciando in un cerchio inclusivo piccole realtà di quartiere, che si vedono partecipi di qualcosa di straordinario.
… potete finalmente bere. Potete gustare il nettare brunito, consapevoli di aver imparato un’importante lezione di valore. Di valore scientifico, ma non solo: di valore economico, sociale e ambientale.
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