Finalmente, Toppolo bussò alla porta. Era giunta l’ora tanto attesa di andare alla ricerca degli asparagi di bosco. La Risolartista si era vista promettere quella passeggiata almeno un paio di settimane prima; poi, però, i troppi impegni del leprotto avevano rinviato più volte l’appuntamento.
… quali potevano essere questi “impegni” tanto importanti? Ve lo starete certo chiedendo. Ricordando che si trattava di un leprotto agricoltore, e ricordando anche che, con l’avvicinarsi dell’estate, occorre mettere in piedi l’orto, potreste rispondervi da soli. E posso solo confermarvi che le ultime settimane di Toppolo erano trascorse per mercati e cascine, alla ricerca dei semi e dei germogli migliori da piantare. Di qua e di là, sempre a balzare da un capo all’altro dell’Umbria: c’era da darsi da fare, se si voleva essere sicuri di un raccolto ben saporito!
E così, finalmente (ripetiamo con un sospiro di sollievo questa parola) aveva ottenuto tutto il necessario. Anche quell’anno, avrebbe potuto sistemare il suo orto in modo perfetto. Prima di mettere le zampe nella terra, però, doveva mantenere la promessa fatta alla Risolartista, e portarla a caccia di asparagi. Tanto più che, con l’avanzare di maggio, la stagione della caccia (perché di caccia, e caccia competitiva, si parla) era sul finire.
Zainetto in spalla e cestino (vuoti), pronti ad accogliere gli asparagi. Cappellino per proteggersi dal sole, che, verso sera, diventava ancora più dispettoso, con quei raggi dorati che si infilavano negli occhi. Per finire, scarponcini stringati, sufficientemente comodi (ma pittoreschi!). Un corredo da artista in veste di raccoglitrice di asparagi, insomma.
Pieni di entusiasmo, i due amici si avventurarono su per il solito colle dietro casa. La strada iniziale era sempre quella, ma la destinazione era ogni volta una sorpresa. Anche quel giorno, dunque, la ragazzina si domandava in quale posto l’avrebbe condotta il leprotto. Quale poteva essere il luogo ideale per un asparago? Quale collina poteva essere chiamata la “casa degli asparagi”? Certo, in quanto asparagi “di bosco”, doveva esserci un bel bosco.
Grande fu lo stupore, nel momento in cui si rese conto che i loro passi stavano seguendo il ben noto sentierino terroso, che conduceva all’altrettanto ben noto boschetto. Quello vicino a casa di Acacia, e anche quello del Toppo: proprio lui. Possibile?
Possibile.
Possibile che la Risolartista avesse fatto quella strada per giorni e giorni, avendo sotto gli occhi gli asparagi, ma non vedendone mai uno?
Possibile.
Per trovare gli asparagi, bisognava cercarli. E, chi cerca, trova. fidatevi. Occorreva sapere come aspettarseli, e dove aspettarseli. I signori asparagi di bosco, infatti, non erano esattamente visibili come le fragoline o i mirtilli. A dire il vero, erano piuttosto infidi nel mimetizzarsi tra rami, sterpaglie e fogliame. Campioni di nascondino, ecco. Così bravi, da passare inosservati anche se lunghi quasi un metro (eh sì, qualcuno riusciva a raggiungere proprio il metro di lunghezza, se non di più!).
Ci volle un po’ di pratica per l’artista, prima di essere in grado di individuarli e riconoscerli facilmente. L’allenamento, e i buoni consigli di un leprotto agronomo furono molto utili. Prima di tutto, occorreva entrare nello “spirito di un asparago”, sentendosi uno di loro in cerca di casa.
… Qual poteva essere il loro luogo ideale? Un sottobosco ombroso, umidiccio, vicino a radici o, ancora meglio, tra rami e sterpi pungenti. A loro piaceva così: non ci si può far molto. E, dunque, al povero raccoglitore finiva spesso qualche spina nella mano…
… per non parlare, poi, degli sguardi gelosi degli abitanti del luogo. Che rimanga tra noi, ma la gente lacustre era, ed è, molto ghiotta di asparagi; così ghiotta, da non volerne lasciare neanche uno agli altri. Se tra vicini di casa c’è competizione ardita per raccogliere i migliori, si può solo immaginare cosa possa succedere quando un avventore straniero ne porta a casa un mazzolino! Lasciamo perdere, e torniamo alla nostra raccolta. Quella volta, per fortuna, non passò nessuno a rovinare il magico momento.
Uno dopo l’altro, gli asparagi si accumulavano nello zainetto. Di solito, se ne spuntava uno, ne spuntava almeno un altro poco distante. E, magari, ancora un suo fratellino. In due, e in piena stagione (anche opportunamente umidiccia), si faceva in fretta a tirarne su un bel mucchio. Non fecero in tempo a stufarsi di raccogliere, che già lo zaino era pieno di questi soggettini un po’ verdi e un po’ violacei, dal profumo pungente e boschivo. Un aroma inconfondibile, molto più intenso di quello che normalmente si trovava al mercato. Anzi: una fragranza deliziosa, che già anticipava la prossima scorpacciata serale…
Ed eccoli in cucina. Gli asparagi accanto al lavello, puliti e pronti per essere cucinati di fresco, e un’allegra comitiva lì vicino. Per l’occasione, avevano chiesto l’aiuto del Gatto Cappelletto, che aveva sfornato dai suoi manuali di cucina una sfiziosa e insolita ricetta. Dato che, quella sera, avevano invitato a unirsi alla cena anche la Gallina Deruta (con la speranza di avere uova colorate di verde e viola l’indomani…), il menu prevedeva cibo di suo gradimento. Cous cous, con asparagi di bosco, aglione della Valdichiana (un prodotto tipico molto raro, per palati raffinati), e scorza di limone. Ah, e non si doveva dimenticare la curcuma: spezia essenziale, se si voleva dipingere di un bel giallo ogni granellino. La gallina non avrebbe potuto desiderare di meglio! Un “becchime” adatto al suo gusto da pollaio, quanto agli altri commensali.
Dunque, Cappelletto si stava affaccendando nella preparazione, tutto intento a tagliuzzare gli asparagi, e saltarli in padella con uno spicchio d’aglio. Si vuole specificare “uno spicchio”, in quanto dovete sapere che quella varietà di aglio (agliONE) è di dimensioni così grandi, che un solo pezzetto basterebbe anche per due o tre famiglie!
Imparate queste curiosità gastronomiche, possiamo continuare, confermando il profumo squisitamente aromatico che si diffondeva dai fornelli. Immaginatevi gli asparagini, con il loro odorino pungente, uniti al suddetto signor aglione della Valdichiana…
In quel momento, ecco che il babbo fece il suo ingresso in cucina. Evento assai inatteso. Erano ben poche le volte in cui il Gatto Cappelletto l’aveva visto prendere in mano una padella o una casseruola. Di solito (almeno per quel che riusciva a scorgere quando si metteva a osservare la famiglia di sera), si presentava all’ora di mangiare, puntuale come un orologio svizzero scassato. Eh sì: neanche al sentire la mamma che annunciava gli spaghetti in tavola riusciva a staccarsi da ciò che stava facendo…
Troppo lavoro, diceva lui. Troppe cose da fare. Un po’ aveva ragione (poveretto!), e un po’ no. Il gatto aveva acutamente osservato l’abitudine tipica dei paesani di allungare i tempi. Diciamo così. Un’abitudine degna della Dolce Vita italiana, su cui tanto ci prendono in giro gli stranieri (ma che ci invidiano allo stesso tempo)!
Quella sera, però, era davvero arrivato prima. E per cucinare, in aggiunta. Una spiegazione valida (quanto implicita) c’era: questioni di amichetti di infanzia.
Così come voi spesso morite dalla voglia di fare ciò che il vostro compagno di banco vi racconta di aver sperimentato, così anche lui. Esattamente uguale, solo con qualche anno in più!
In questo caso, si trattava di asparagi di bosco. Il signor Sauro, grande amico del babbo e quasi suo parente stretto (né il gatto, né la Risolartista avevano mai capito bene questa parentela…), gli aveva messo in testa una certa ricettina che descriveva come “sublime”. La morte dell’asparago di bosco, insomma. Aggiungete il fatto che il signor Sauro era anche agronomo, ed esperto raccoglitore di asparagi, e potete ben capire come le sue parole suonassero bibliche alle orecchie del babbo!
Dunque, quella sera, si doveva fare come diceva lui. Peccato che Cappelletto fosse già intento a cucinare ben altro…
Si decise di spartire il bottino di asparagi in due: ce n’era abbastanza per tutti.
E così, il babbo si mise davvero ai fornelli. O, almeno, ci provò. Con l’aiuto della mamma e del micio cuoco, si intende. Tanto più che gli ci vollero almeno cinque minuti per capire dove trovare una padella, e per riuscire a scaldarla (colpa dei fornelli a induzione!). Aglio, olio, peperoncino, e via. Questa circa era la ricetta. Non sembrava troppo complicata: l’ingegnere di casa (vi ricordo la sua esimia professione) poteva riuscire nell’impresa.
Cominciò allora a far sfrigolare un paio di spicchi di aglio in padella; aglio bianco, classico, come il Sauro dettava. Le diavolerie della Valdichiana offerte gentilmente dal gatto non rientravano negli stretti dettami che doveva eseguire. Poi, dopo una buona decina di minuti (la cucina sembrava una sorta di camera a gas per l’odore aglioso…) aggiunse gli asparagi, il peperoncino e irrorò il tutto con buon olio d’oliva. Teniamo a precisare (l’ha richiesto espressamente il babbo, leggendo il racconto) che si trattava di olio prodotto dallo stesso signor Sauro, con le sue belle olive lacustri.
Finalmente, tutto fu pronto. Più o meno rosolato a regola d’arte. Il manufatto gastronomico del babbo attendeva solo che gli spaghetti fossero cotti, così da diventarne il sugo di condimento. Nel frattempo, anche Cappelletto aveva completato il cous cous con gli asparagi: mancava solo la curcuma. Quando anche quella ebbe dipinto di giallo la pietanza, si preparò rapidamente la tavola. Sarebbe stata una cenetta gustosa, ma informale. Gli ospiti, dopo tutto, erano un gatto, una gallina, un leprotto e… il Sauro, che l’artista aveva di nascosto invitato a unirsi.
… a unirsi per controllare e giudicare se l’amichetto ingegnere aveva saputo essere all’altezza della sua ricetta!
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