Il fico è proprio un bell’alberello… non lo pensate anche voi?
Intanto è maestoso, con quelle foglie a forma di mano, che forniscono ombra e riparo dal sole, e dipingono di un bel verde ogni giardino.
E, poi, è un albero che dà i suoi frutti. Letteralmente. Offre frutti gustosissimi, dolci all’inverosimile e meravigliosamente zuccherini. Un miele. Anzi: è al pari di quell’ambrosia di cui si cibavano gli dei greci.
I portenti del fico, però, non si esauriscono qui. Se ogni albero comune fa i suoi frutti una volta all’anno (pensate alle albicocche o alle pesche…), il personaggio in questione raddoppia il bottino. A giugno i fichi fioroni, e a settembre i fichi… fichi. Entrambi dolcissimi, entrambi validi compagni di una bella fetta di pane (pane e fichi era già la colazione prediletta degli Antichi Romani). Le differenze sono minime: una buccia un po’ più spessa per i primi, e dimensioni forse ridotte per i secondi. L’importante, però, rimane il gusto. E quello supera l’ambrosia in ogni caso…
Dunque, abbiamo a che fare con un albero che, è proprio il caso di dirlo, è un gran lavoratore! Fa gli straordinari ogni anno. E non si fa nemmeno pagare in denaro (in grandi quantità di acqua, invece sì…). Due produzioni di frutti, al posto che la singola normalmente richiesta: il fico è senz’altro la pianta adatta a descrivere il modello di produttività milanese che tutto il Bel Paese (anche se non lo dice) ci invidia. “Poche chiacchiere, e far andare le mani…”
Quel gran lavoratore del fico era l’albero da frutto preferito dal Nonno Sergio. Capite bene il perché: instancabile l’uno nel fare i suoi frutti extra, instancabile l’altro che, in una sola vita, era passato dall’essere allievo commesso (addetto a consegnare scartoffie), alla poltrona di dirigente di banca. Non è questo il momento per rispolverare carriere passate , ma un accenno era doveroso. Se ne riparlerà altrove… abbiamo tutti voglia di pane e fichi per merenda.
Ecco che, tra le piante dell’immenso terrazzo di Viale Bacchiglione, la più curata e venerata dal padrone di casa era proprio quella. Il fico.
Mai l’acqua gli mancava, mai il concime; le attenzioni, soprattutto con l’arrivo di maggio e giugno, erano tutte per lei. Era la prima a essere salutata al mattino, e l’ultima a cui controllava che l’impianto di irrigazione avesse dato tutta l’acqua necessaria (un secondo controllo di sicurezza, si intende). Si può dire che la curasse come una terza nipotina.
Tutto questo, il nonno Sergio lo faceva per dare il suo contributo di gran lavoratore alla produzione del gran lavoratore che era il suo fico. Senza acqua, infatti, i risultati sarebbero stati assai scadenti.
La cosa che più gli faceva onore, però, era che si adoperava per i fichi (in doppia razione annua, ricordiamolo) non solo per sé. Lavorava per i suoi nipoti (quelli “umani”), e per tutti gli altri membri della famiglia che fossero capitati di lì durante il periodo della raccolta. E vi assicuriamo che un po’ tutti facevano in modo di capitare di lì, quando la stagione era al punto giusto…
Malgrado fosse in pensione, era come se ancora lavorasse, insomma. Si può proprio dire che facesse il doppio lavoro, come lo faceva il nostro albero di fico in questione! Dopo tanti anni passati insieme, aveva reso la sua pianta un esempio di milanese verace dei vecchi tempi…
Abbiamo cincischiato (come si dice spesso in Viale Bacchiglione) a sufficienza. È ora di far andare le mani, e impiegarle per qualcosa di buono. È ora di dedicarsi alla raccolta di un bel “mazzo” di fioroni. C’è proprio una particolare raccolta di fichi attende di essere raccontata…
Doveva essere, dunque, una bella mattinata di giugno, se di fioroni vogliamo parlare.
Una mattinata ben calda, in aggiunta. Una di quelle in cui il terrazzo di Viale Bacchiglione era frequentabile al massimo fino a mezzogiorno. Poi, si rischiava di cuocere come un uovo in padella; dopo le quattro del pomeriggio, forse, ci si poteva arrischiare di nuovo.
Capite bene come la Risolartista, accompagnata dal bassotto Artemisio, si fosse presentata alla porta dei nonni di buon mattino. Né troppo presto, né troppo tardi. All’ora giusta per raccogliere i fichi. A quell’ora in cui già si potevano sentire i risultati del lavoro quotidiano del sole: i frutti maturi erano tiepidi, riscaldati dai raggi dorati. Tiepidi… e ancor più zuccherini. Come fossero pasticcini appena tolti dal forno, ancora caldi, e al massimo della loro fragranza.
Fragranti. Ecco il termine con cui descrivere i fichi colti nel mezzo del mattino. Non ci poteva essere momento migliore per assaporarli con gusto.
Fatti tutti questi calcoli di orari, ecco il campanello che trillava, azionato dall’allegra ragazzina. Al primo tentativo non sentiva mai nessuno: non c’era da stupirsene. Al secondo nemmeno; al terzo poteva anche essere.
Quella volta, però, nemmeno al quinto (azionato dal bassotto) i nonni sembravano dare segnali di presenza. Rassegnata, la nipotina prese direttamente il telefono… e chiamò proprio quel numero che rianimò l’inconfondibile suoneria dall’altro lato della porta (era la stessa da almeno una decina di anni…).
Finalmente la Nonna Ginia rispose.
Stava tirando la pasta per il rotolo. Aggiunse.
E, se stava tirando la pasta, allora voleva dire che la sua fedele sfogliatrice a motore (la Imperia Pasta presto) era in funzione. Sfogliatrice che, teniamo a precisare, era tanto brava a rendere l’impasto sottilissimo, quanto a produrre ogni volta un baccano infernale. Ne conseguiva l’impossibilità di sentire un povero campanello al quinto tentativo di trillo…
Vi starete chiedendo (se avete letto attentamente) cosa fosse quel rotolo. Ebbene, si tratta di uno dei cavalli di battaglia culinari della nonna Ginia, e tra i primi della lista di preferenze della nipotina. Si fa con la sfoglia, arrotolata attorno a un ripieno di ricotta e spinaci; tuttavia, non ci serve ora per la nostra storia. Con i fichi non va d’accordo. Ne parleremo un’altra volta…
Tornando alla mattina di raccolta dei fichi, era giunto il momento di cominciare. La Risolartista corse su per le scale, in direzione del terrazzo, senza perdere un attimo. Il Bassotto Artemisio (che in tutto ciò si era intrufolato nell’impresa, al sentir parlare di cibo) sgambettava al seguito. Con un po’ di fatica, date le zampette di dimensioni “contenute”, ma riusciva a stare al passo. Aveva anche imparato di recente a salire e scendere gli scalini.
La nipotina era sicura che avrebbe trovato il Nonno Sergio già intento ad allungare la mano verso qualche bel frutto. E, invece, del suddetto padrone di casa nessuna traccia.
… la spiegazione arrivò in fretta dalla nonna, che accennò a qualche lavoro importante da sbrigare in cantina. Lavoro così importante, da superare anche le delizie dei fichi.
Cosa dovesse fare, non lo si seppe mai con certezza. La nipotina preferì mantenere il mistero, divertendosi a pensare cosa potesse essere successo. Probabilmente, doveva essere crollato qualche scaffale per il troppo peso di vasetti di marmellata. La nonna, infatti, giusto la settimana prima, aveva fatto la sua produzione industriale annuale di conserve di fragole…
Tant’è, che la Signora Ginia, facendo le veci del marito, partecipò alla fruttuosa raccolta.
Alla Risolartista fu dato l’onore di inaugurare l’evento.
Lentamente, la ragazzina allungò il braccio sinistro (vi ricordiamo che era mancina), in direzione di un fico ben maturo. Doveva essere dolcissimo: la buccia, da verde che era, già tendeva al giallo, come fosse stata abbondantemente irrorata di raggi di sole.
Poi, afferrò il frutto. Lo premette leggermente: era morbido. Morbidissimo. Troppa pressione, e si sarebbe spaccato.
I ricordi di una bimba di al massimo cinque anni riaffiorarono nella mente. Bastava quel gesto, per rievocare gli insegnamenti del Nonno Sergio su come raccogliere i fichi. Tornò a quei momenti di gioia infinita, a quelle mattine assolate di giugni lontani, che, per fortuna, non erano poi cambiate molto. Simili emozioni potevano ancora essere ripetute…
Il suo spirito d’artista si sentiva davvero fortunato: lo stesso fico del passato si trovava, allora, proprio nella sua mano. La stessa immagine. Forse solo le dita si erano un po’ allungate.
Come il Nonno le aveva sempre mostrato, fece roteare il frutto, fino a quando si fu staccato. Uno spruzzo di latte accompagnò il gesto, e lasciò il ricordo del frutto sull’estremità del ramo.
La nipotina, contenta come lo era anni e anni prima, guardò la Nonna, e sorrise. Guardò Artemisio, e sorrise ancora. Aveva il suo fico in mano: il primo fico della stagione; si sperava non l’ultimo. La ricchezza dell’albero, però, faceva ben confidare…
Era il momento di assaggiare.
Il piccolo frutto si schiuse a metà, rivelando il suo cuore tra il rosa e il vermiglio. Colori che ancora riportavano al passato, a quando si indovinava il grado di dolcezza già dalle tinte della polpa. In quel caso, visto l’aspetto, doveva essere proprio buono. Per fortuna era ancora capace di riconoscere da fuori i frutti migliori.
Ed ecco il sapore. Ecco l’ambrosia zuccherina che ancora sapeva incantare il suo palato di artista. La passione per i fichi non si perde mai nel tempo…
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