IL PITTORE DEL MANIERISMO FIORENTINO
Giovanni Battista di Jacopo, che d’ora in poi chiameremo il Rosso Fiorentino (dalla sua chioma rossa e fiammeggiante), può considerarsi la figura chiave del Manierismo di Firenze, assieme al contemporaneo Pontormo.
La sua arte in pillole è una “non realtà”: è un mondo pittoresco, un mondo a sé, pieno di personaggi inquietanti, grotteschi e bizzarri. Un’arte decisamente lontana dall’equilibrio del Rinascimento, ma che ben rispecchia i timori e i capovolgimenti storici di inizio ‘500.
Si capisce già come il Rosso, da buon rosso di capelli, fosse un tipo ribelle, contrario alla pittura della sua epoca, fatta eccezione per due maestri che gli si confacevano: Andrea del Sarto (di cui fu allievo) e Michelangelo, da cui prese spunto, seppur in modo molto personale.
L’ARTISTA
Il Rosso nacque a Firenze, nel 1494, giusto due mesi prima del Pontormo. Citare quest’ultimo artista serve a ricordare che entrambi si possono considerare i fautori del Manierismo fiorentino. Ma qui ci concentriamo sul primo.
La sua formazione avvenne presso Andrea del Sarto, e l’esordio fu precoce: già nel 1513 realizzò l’affresco dell’Assunzione nella basilica della Santissima Annunziata di Firenze.
Progredendo con le committenze, giunse a fare il suo capolavoro (emblematico per il Manierismo) a Volterra: la Deposizione (vedi dopo). Lavorò anche a Roma, a Sansepolcro, e persino a Città di Castello, in Umbria, e a Venezia.
Infine, questo spumeggiante pittore se ne andò anche in Francia, divenendo pittore di corte di Francesco I, per il quale diresse i lavori del castello di Fountainbleau. Lavori, che non riuscì a portare a termine, in quanto morì improvvisamente nel 1540.
LA SUA PITTURA
I caratteri principale della sua pittura sono certamente il contravvenire all’equilibrio e alla raffinata naturalezza del Rinascimento, puntando a un crescente disequilibrio.
Le sue tele sono grottesche, talvolta inquietanti, con colori forti, che procedono verso l’oscurità nell’ultimo periodo.
Tutt’altro che realistiche, le scene sono scomposte, ricche di movimento, con linee spigolose e contrasti di luce.
Le figure (santi compresi) hanno spesso connotati arcigni e quasi demoniaci: soggetti bizzarri, che aggiungono ulteriore effetto di straniamento per lo spettatore.
L’ASSUNZIONE DELLA VERGINE
Prendendo come punto di partenza questo affresco dell’Assunzione della Vergine, già vediamo alcuni caratteri emergenti. Il vigore delle figure è ripreso da Michelangelo; il cromatismo, invece, dal maestro Andrea del Sarto. Tipici dell’arte del futuro Rosso sono (e saranno) l’ampiezza dei panneggi (che sembrano pieni di vento), le forme spigolose e un modo di disporre i personaggi in modo variegato e curioso, con pose tutte diverse. Infine, un altro dettaglio è il lembo della veste della Vergine che esce dalla cornice della figura: l’equilibrio si rompe, e il Manierismo si inaugura…
LA PALA DELLO SPEDALINGO
…“Spedalingo”, per il fatto che fu commissionata dal rettore dell’ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova.
Curioso non è solo il nome, ma anche la storia di questa pala, che si rifiutarono di collocare nella chiesa a cui era destinata (per motivi di “decenza”…!). Si racconta addirittura che il committente, giunto nell’atelier del Rosso per vedere come procedevano i lavori, fosse fuggito inorrodito per l’opera: i santi gli sembravano diavoli!
Verità o finzione, questo ci fa capire la bizzarra pittura del Rosso, che qui si nota nelle figure dei santi, vecchi, quanto anche piuttosto sgraziati. Guardate il San Girolamo (sulla destra): è scheletrico, ingobbito, e con mani che paiono artigli. Un personaggio grottesco, che si distacca notevolmente dalla raffinatezza rinascimentale.
LA DEPOSIZIONE
Ed eccoci all’opera più nota del Rosso: la Deposizione, conservata a Volterra. Uno dei cardini del Manierismo italiano. Se questa corrente, appunto, vuole negare completamente le conquiste del Rinascimento, qui ci riesce in modo esemplare. È tutto tranne che armonia ed equilibrio: più che una scena sacra, pare uno spaccato circense. Le scalette potrebbero benissimo essere lì per gli acrobati… acrobati che si ritrovano nei personaggi che si affaccendano a tirare giù il corpo di Cristo.
Inevitabilmente, l’osservatore è straniato da questa negazione di verosimiglianza e realismo, che ha molto del grottesco, e poco del religioso. Eppure, il tutto è curiosamente pittoresco, con quelle pose spigolose, irrealistiche e bizzarre. Pittoresco, ma anche rappresentativo di tutte quelle inquietudini e angosce che riempivano gli animi della gente del tempo. Il tutto risulta “drammatico” nel complesso, con movimenti concitati, colori forti e line crude, incrementate dalla luce che arriva di lato, creando forti contrasti di chiaro e scuro.
Qualche parola se la meritano anche le figure: la Maddalena che vuole teatralmente abbracciare le gambe della Madonna; il San Giovanni che si tiene il volto tra le mani, additando verso di noi. Guardatelo bene, e vedrete un probabile autoritratto dello stesso Rosso, che si volle immortalare nella sua opera più grandiosa.
CRISTO RISORTO IN GLORIA
Si tratta qui di un’opera destinata alla cattedrale di Città di Castello, in terra perugina.
Ciò che ha di interessante sono i soggetti rappresentati: abbiamo la Maddalena, la Madonna, sant’Anna e santa Maria Egiziaca. E, fin qui, tutto normale. Poi, nella parte inferiore, ecco quelle figure che fecero sgradire il dipinto ai contemporanei: genti straniere, di diverse parti del mondo, rappresentanti svariati mestieri. Si notano addirittura una zingara e un uomo di colore… tutti simboli delle popolazioni che erano state salvate dal sacrificio di Cristo, tanto quanto i “bianchi”. Già allora, evidentemente, il “diverso” non piaceva molto; per non parlare, poi, della cupezza della scena. Cupezza contraddittoria, considerando che la resurrezione dovrebbe essere un momento luminoso e gioioso.
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