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Lorenzo Lotto

L’ARTISTA

Lorenzo Lotto nacque nel 1480, a Venezia. Tuttavia, c’è subito da dire che la sua fama di pittore non si legò mai a questa città, quanto piuttosto a contesti più piccoli, di “provincia”, quali potevano essere Bergamo, Treviso e Loreto. Il motivo? Una serie di personaggi “troppo grandi” per sperare di mettersi in competizione con loro, e conquistare il centro della scena. Pensate a Tiziano, allora celeberrimo in terra veneziana; pensate anche a Raffaello, quale figura di spicco della Toscana cinquecentesca. 

Il povero Lorenzo, svantaggiato anche dal suo carattere tormentato, e psicologicamente poco stabile, si ritrovò incapace di fronteggiare i grandi nomi dell’epoca. Non che fosse da meno rispetto a loro… anzi! Era un artista estremamente dotato, con una capacità nel raffigurare i “moti dell’animo” comparabile a quella del maestro francese Géricault (di molto successivo), e una resa luministica antesignana del Caravaggio. Il problema era proprio questo suo essere così innovativo e originale. Troppa anti-convenzionalità non piaceva ai ricchi committenti veneziani, che continuavano a preferire il cromatismo dei ritratti di Tiziano. Questione di gusti! Quel che conta è che, dopo secoli, grazie al contributo del critico Bernard Berenson, la rilevanza del Lotto è stata riscoperta. Dunque, non ci resta che fare un po’ di luce su questo eccezionale artista…

Avevamo detto che fu originario di Venezia, ma la lasciò ben presto. Già nel 1498, lo dobbiamo immaginare a Treviso, accanto al suo maestro Alvise Vivarini. Ancora nella Serenissima, però, influenzarono la sua formazione giovanile il Bellini (allora riferimento per tutti gli aspiranti artisti), i fiamminghi, la delicatezza del Giorgione e Antonello da Messina (soprattutto per la fisionomia dei volti). 

Raccogliendo qua e là ispirazioni diverse, il Lotto cominciò a costruire la sua arte unica, non inscrivibile in alcuna categoria. Una delle sue prime opere emblematiche è il “Ritratto di Bernardo de’ Rossi”, di cui curò anche il “coperchio” (vedi dopo). 

Come città in cui lasciò il segno, dobbiamo citare Recanati, nelle Marche, oppure Bergamo  in Lombardia: tutti piccoli centri, in cui poteva esprimere il suo estro innovativo, conquistandosi il successo che si meritava. Tentò invano di far sentire la sua voce a Roma, e poi persino nella sua città natale, Venezia, senza grandi risultati. L’ambiente della Serenissima gli era ostile, impedendogli di guadagnare anche solo quanto necessario per il suo sostentamento. Motivo per cui, dopo più di dieci anni di insuccessi, abbandonò le speranze e si ritirò in terra marchigiana, dove finì la sua vita a Loreto, divenuto oblato della Santa Casa della Madonna.

LA SUA PITTURA

Abbiamo sottolineato subito come il Lotto sia un pittore sopra le righe, rispetto al suo tempo, ma soprattutto molto più contemporaneo di quanti si pensi. Vista l’espressività psicologica dei suoi dipinti, avrebbe dovuto nascere tre secoli dopo, così da fare conoscenza con gli appassionati di psicologia quali Géricault e i medici suoi amici. 

A motivo di ciò, potremmo chiamarlo un “pittore del profondo”, capace di cogliere ed esprimere l’intimo delle persone e delle cose. Contrariamente a quanto comune e apprezzato all’epoca, egli vuole immortalare l’uomo in meditazione, alla ricerca di un equilibrio tra sé e la realtà.

Un altro elemento chiave del suo stile è il grande realismo dei soggetti, che riprende i Fiamminghi, ma aggiunge umanità e dolcezza. Guardate i suoi volti femminili, oppure quelli di santi anziani; ne vedrete una bonarietà incredibile, accompagnata da altrettanta naturalezza. Proprio questa sua ripresa fedele del reale sarà di spunto per il Caravaggio, che vi porrà molta attenzione durante la sua formazione per i sentieri lombardi della sua gioventù.

Infine, il Lotto va ricordato anche per una sua interpretazione “fantasiosa” degli eventi sacri. È con la fantasia, che esprime il suo senso del Mistero divino. Un esempio lo trovate nell’Annunciazione, in cui c’è un gatto che si spaventa e scappa, davanti all’arrivo dell’angelo, come se fosse proprio l’animale a intuire la presenza divina. 

Da tutti questi elementi, si capisce come fu un pittore speciale. Un pittore tormentato emotivamente, più volte deluso per i suoi insuccessi, eppure inarrestabile nella sua ricerca di indagare l’animo umano nel profondo, e di esprimerlo con la sua arte. Tutte caratteristiche che lo rendono unico, quanto estremamente vicino al nostro sentire di uomini moderni.

LE OPERE

RITRATTO DI BERNARDO DE’ROSSI

Avete davanti a voi l’immagine di quello che fu il mecenate del Lotto a Treviso: il cardinale Bernardo de’ Rossi. Lo vedete immortalato in una mozzetta rosso spento, con l’anello dal leone rampante (simbolo della sua famiglia di origine parmigiana), in una posa solenne. Malgrado questa apparente “ufficialità”, che era tipica della ritrattistica di Tiziano, il Lotto fa qualcosa in più. Il Lotto si concentra sull’espressività, sui “moti dell’animo” leonardeschi, rendendo il personaggio estremamente realistico e dagli occhi che ci parlano della sua interiorità. Si può definire “introspezione”: questa è la capacità dell’artista, ossia quella di guardare dentro l’anima, ed esprimerla con le sue pennellate.

Da questo ritratto, possiamo conoscere quasi di persona il signor de’ Rossi, intuendo la sua freddezza e la sua sicurezza, che si vede negli occhi, quanto nella presa salda della mano. 

In più, non manca il grandissimo realismo nella resa dell’incarnato e dei dettagli; frutto, probabilmente, dell’influenza di Antonello da Messina. 

Ritratto di Bernardo de’ Rossi

ALLEGORIA DEI VIZI E DELLE VIRTÙ

…Avete appena ammirato il ritratto, e ora ne scoprirete il coperchio! Ebbene sì: l’Allegoria dei Vizi e delle Virtù è dipinta proprio sulla copertura lignea dell’effigie di Bernardo de’ Rossi. Potrebbe sembrare strano, oggi, farsi fare un dipinto, e poi volerlo tenere nascosto con una sorta di sportello scorrevole. Tuttavia, dovete pensare che, all’epoca, celare la visione di un’opera agli occhi del pubblico era una pratica molto comune. Il “nascosto” e il “misterioso” erano tutti caratteri che aumentavano il prestigio del ritratto e della persona stessa che vi era raffigurata. Nascondendo il quadro dietro un coperchio, lo si rendeva una cosa “per pochi eletti”, in grado di ammirarlo e apprezzarlo.

Tant’è, che è giunto a noi oggi anche il suddetto coperchio: grande fortuna, vista la bellezza dell’immagine che lo adorna. 

Si tratta di una scena rappresentativa del tema del “paesaggio moralizzato” (forse ispirata a Dürer): un’allegoria, che nasconde un mucchio di significati curiosi. Abbiamo un bivio, con un sentiero ripido, ma dal finale luminoso, a sinistra, e una strada pianeggiante, ma che si disperde nel cupo della foresta, a destra. Vediamo di sciogliere l’enigma figurativo…

Partiamo dalla parte di sinistra, verso cui è rivolto lo stemma del vescovo de Rossi, che ci fa già capire da che parte era indirizzato il soggetto del ritratto. La strada secca e ripida, che però finisce nel mondo celeste, è l’allegoria delle virtù, che conducono alla salvezza. In primo piano, un amorino giocherella con i libri (la sapienza) e i simboli della arti liberali. 

Spostandoci a destra, ecco la vallata “comoda” e piana, ma altrettanto cupa, che finirà nello smarrimento della foresta. Lì, di certo, la luce divina non arriva; e non arriva neppure nel mare burrascoso in cui sta naufragando una nave. Davanti, abbiamo un satiro ubriaco, che cerca ancora vino, ma trova soltanto latte! Inevitabile vedere in ciò la rappresentazione dei vizi.

In un semplice coperchio, il Lotto ha reso perfettamente il messaggio morale che vuole invitare a seguire le virtù: un messaggio condiviso anche dal committente, come lo stemma ci ricorda. 

Allegoria dei Vizi e delle Virtù

NOZZE MISTICHE DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA E NICCOLÒ BONGHI

Questa è una delle più celebri committenze private bergamasche eseguite dal Lotto; nel caso in questione, la richiesta proveniva dal ricco mercante Niccolò Bonghi. In effetti, abbiamo conferma dell’identità del committente proprio nel dipinto: eccolo lì, il signor Niccolò, mentre si rivolge al Bambinello, sperando in una propizia benedizione. 

Dovete sapere che il suddetto mercante era il proprietario della casa in cui il Lotto abitava: in cambio di un anno intero di affitto, gli chiese di fargli questo quadro. 

Per quel che riguarda la tematica, si tratta del classico Sposalizio Mistico di Santa Caterina, secondo cui è Gesù Bambino a infilare l’anello al dito della Santa, suggellando la sua fedeltà perpetua. 

Vi invito a guardare con attenzione la parte alta del quadro: noterete una grande porzione grigia e uniforme. Ebbene, si dice che tale pannello fu aggiunto in seguito per coprire quel che restava di una finestra. 

… “quel che restava”, in quanto pare che la tela fosse stata mutilata in cima. Oggi, di quella presunta finestra non rimane che il davanzale con sopra poggiati due tappeti. 

Soffermandosi sulle figure protagoniste, è facile notare dettagli “eccentrici”, tipici della personalità curiosa dell’autore. Evidenti sono le disarmonie compositive, come certe pose forzate e pittoresche, oppure il virtuosistico intreccio di mani che cattura lo sguardo, portandolo al centro della scena. Altri elementi chiave del Lotto sono la dolcezza dei volti, qui regalata all’espressione di Maria e di Caterina, e gli abiti sfarzosi e contemporanei. Ultimo richiamo del suo stile distintivo è dato dai colori sgargianti, con forti contrasti, che ben si distinguono nel panorama della pittura lombarda di allora, ancora abituata a toni pastello e ombre appena accennate.

Matrimonio mistico di Santa Caterina

L’ADORAZIONE DEI PASTORI

In quest’opera dal tema natalizio possiamo apprezzare le parole di Roberto Longhi, che descrivono la Immagine che contiene persona, gruppo, persone

Descrizione generata automaticamentepittura del Lotto in questo modo: “La lucestessa, per lui, non è più la chiara regola solare, ma soffio discontinuo e vagante.”

Prendendo spunto da questo soffio discontinuo di luce, entriamo nella capanna di Betlemme immortalata dall’artista. Una capanna in ombra, oscura, che improvvisamente si accende con i colori del cielo. Si intravvede un chiarore dorato al centro… forse la luna, o forse Dio Padre. Chissà?! Quel che è certo, è il simbolo della croce che la finestra ci comunica in alto a destra. Già si conosce il destino di quel Bambinello che giace nella mangiatoia.

E che mangiatoia inusuale: è una grande cesta di vimini, trasformata in giaciglio, in cui la Madonna sta inginocchiata. Si tratta di un ulteriore simbolo della futura passione, in quanto, a osservarla bene, sembra un sarcofago.

Gli aspetti curiosi dell’opera proseguono interrogandoci sull’identità di quei due pastori che hanno portato l’agnellino per far giocare il piccolo Gesù. Le casacche esterne sono quelle di gente dei campi, gli abiti eleganti cinquecenteschi un po’ meno. Abbiamo camicie bianche, farsetti di velluto, calzoni elaborati, e persino calze fissate con nastri. Poco “contadini”, e molto alto-borghesi. In effetti, c’è chi identifica i due con i committenti dell’opera: forse due nobiluomini perugini, che conobbero il Lotto a Loreto durante un pellegrinaggio.

Non mancano i personaggi tradizionali della natività, quali San Giuseppe, defilato a sinistra, bue e asinello in ombra. Gli angeli rimangono vicini ai pastori, mettendo una mano sulla loro spalla: è sintomo dell’aiuto divino, sempre necessario per sostenere la fede.

Un’ultima minuzia è l’anello che la Madonna reca sull’anulare. Potrebbe benissimo essere il venerato Santo Anello (conservato nel Duomo di Perugia), che Giuseppe le donò il giorno in cui si sposarono. Che sia una tradizione, o la verità, il gioiello ha una storia affascinante. Ancor più affascinante è ritrovarlo qui, in questa scena di spettacolare resa luminosa, che pare anticipare già i capolavori del Caravaggio. 

Adorazione dei pastori

LA PIETÀ (BRERA)

Abbiamo qui un’importante testimonianza della produzione trevisana, che doveva essere destinata in qualità di “pala d’altare” alla chiesa delle del convento di San Paolo. In effetti, se guardate bene il volto della Vergine, pare proprio di vedere una monaca, in quel suo volto serio e invecchiato, contornato da un velo lungo e spesso. 

L’opera è intensamente espressiva, e riflette quei tormenti riflessivi che dovevano animare l’animo del Lotto ai tempi. Ogni soggetto ha un suo “moto dell’animo” particolare, e il risultato complessivo ha un che di cupo, forse dovuto all’avvicinarsi della vecchiaia per l’artista.

La scelta della composizione è insolita: è un modello nordico, ispirato forse a Van der Weyden, molto raro da trovare in ambito veneziano. Ciò che ha di speciale è il fatto che tutta la nostra attenzione si concentri su Maria, e non tanto sul Cristo morto. In questo modo, ella appare bene come la “co-redentrice” dell’umanità. 

Il gruppo di figure è di effetto scultoreo, in cui non possiamo non sottolineare le mani: intrecci virtuosistici, che molto dovevano piacere al Lotto, sempre in cerca di qualche rappresentazione bizzarra e fuori dal comune!

Pietà

ASSUNZIONE DELLA VERGINE (BRERA)

Dopo scorrette attribuzioni a Raffaello, finalmente si è voluto riconoscere al Lotto la paternità di quest’opera. Dovrebbe trattarsi dello scomparto centrale della Pala della Deposizione di Cristo (a Jesi). 

Oltre ad apprezzare il delicato paesaggio campestre che si distende sullo sfondo, ci sono due curiosissimi personaggi a cui dobbiamo fare attenzione. Il primo è il povero San Tommaso, l’apostolo incredulo, che la tradizione apocrifa voleva che fosse arrivato in ritardo a vedere l’Assunzione! Lo vedete a destra, mentre corre affannato giù per la collina.

Il secondo, invece, è un ulteriore dettaglio umoristico: si tratta di quel santo che si sta mettendo gli occhiali (a destra), per essere sicuro di vedere per benino la scena miracolosa.

Assunzione

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