Era tradizione che, in pieno periodo natalizio, si andasse a vedere quell’opera d’arte, ospitata dal Museo Diocesano in occasione delle feste. Quell’anno, si trattava dell’Annunciazione napoletana di Tiziano: un capolavoro poco noto, ma assai speciale.
Il pomeriggio freddo e preannunciante una nevicata era ottimo per creare l’atmosfera. Corso di Porta Ticinese era poco affollato (strano, ma vero), forse a causa del ponte di Sant’Ambrogio, che gli sciatori avevano deciso di passare in montagna. I Chiostri di Sant’Eustorgio, però, con il loro bel museo, erano aperti, in attesa di qualche visitatore alla ricerca del dipinto di Tiziano.
Uno di questi visitatori era la Risolartista, con tanto di mantellina variopinta e sciarpone ben pesante per affrontare l’aria di neve. Il freddo non la spaventava: c’era un’opera d’arte che la stava aspettando a ormai pochi passi…
In breve fu dentro al Museo Diocesano, e cominciò ad arrampicarsi su per la scalinata che conduceva al suo obiettivo artistico. L’orario serale era propizio; le ultime chioccianti vecchine stavano abbandonando le sale, pensando già a cosa cucinare ai mariti per cena. Un paio di gradini ancora, e l’artista fu accolta da alcune curiose parole stampate sulle pareti.
“Qui fumate lente bruciano d’incensi per tutta la scena, e la velano e la svelano.”
Era una frase pronunciata anni indietro nel tempo, dal celeberrimo critico d’arte Roberto Longhi. Lei, il signor Longhi, lo conosceva bene (non di persona!): ne aveva letto libri su libri, e ammirava moltissimo il suo modo speciale di descrivere le opere. Il signor Longhi era un vero poeta, capace di rendere speciali e cariche di significati le pennellate dei pittori. Anche quando qualche dettaglio era facile che sfuggisse all’attenzione del pubblico comune, l’occhio del critico lo catturava, e lo esprimeva in modo unico. Letti da lui, i quadri assumevano tutto un altro valore e un’altra immagine. Letti da lui, i quadri diventavano vivi, e si mettevano a raccontare storie a coloro che li stavano osservando.
Non si sa se, quella volta, furono proprio le parole del Longhi impresse sul muro a fare la magia. Tant’è, che in un attimo la sua voce dolce risuonò nella stanza vuota, cominciando a descrivere l’opera, e un profumo di incenso si iniziò a percepire nell’aria.
Dapprima, la Risolartista pensava di star sognando, immaginandosi lo storico d’arte che pronunciava quel suo commento all’Annunciazione. Tuttavia, le parole non si fermavano, ma continuavano, quasi invitandola a rispondere. E, poi, c’era quell’odorino buonissimo di incenso, che proveniva chissà da dove. La frase iniziale vista sulla parete lo citava, eppure non se ne capiva il senso…
Il senso del vocabolo si chiarì davanti all’opera del Tiziano. Eccolo lì, l’incenso. O, come stava dicendo in quel momento il Longhi:
“Allora la colonna erodiana erosa nei ricami marmorei si perde come colonna d’incenso negli spazi colorati.”
… Si trattava di una colonna che sembrava liberare fumi d’incenso dalla cima. Che presenza strana, per essere un dipinto sull’Annunciazione! Presenza stranissima: c’era l’Arcangelo Gabriele che giungeva con il giglio in mano; c’era la Vergine che accoglieva quieta l’evento; e c’era quella colonna imponente accanto a lei. Una colonna impreziosita da bassorilievi, che saliva verso l’alto, per poi confondersi in volute di nubi.
… Nubi, o, come aveva osservato il Longhi, “incenso”. Più le si guardavano, e più sembrava di sentire il profumo di quella pregiata sostanza che stuzzicava il naso.
La Risolartista era estasiata: non aveva mai sentito parlare di quell’opera prima di allora, eppure, aveva qualcosa di unico. Tiziano le era sempre stato noto per i suoi lavori più giovanili, come la Venere di Urbino, oppure per tutti i “ritratti di stato” che era tanto bravo a fare per i regnanti. Tuttavia, il pittore veneto non era soltanto quello. C’era anche una sua produzione “matura”, spesso tralasciata, che rappresentava, però, il culmine della sua ricerca pittorica. Era in dipinti come l’Annunciazione, che si vedeva il suo essere riuscito a rendere il colore e la luce estremamente espressivi e drammatici. In quelle macchie non perfettamente definite, si percepiva l’interiorità e la sacralità della scena che era immortalata. In quegli effetti luministici impetuosi, era concentrato molto del Mistero. Affasciante davvero. Ancor più, visto quel profumo di incenso che accompagnava la visione, con quei fumi che avevano preso vita, e avvolgevano i puttini volanti in cima alla tela.
La ragazzina sarebbe rimasta lì immobile per ore, se non fosse accaduto qualcosa. E qualcosa accadde. Improvvisamente, la voce del Longhi si interruppe, e l’incenso scomparve.
La colonna era “spenta”. Non fumava più. Dopo cinquecento anni, a quanto pareva, le riserve di incenso che il Tiziano doveva aver nascosto nel quadro erano finite. Che disdetta! Senza materia da bruciare, l’Annunciazione avrebbe perso tutto il suo carattere speciale…
Occorreva fare qualcosa, e in fretta, prima che qualche altro visitatore giungesse e rimanesse deluso, davanti all’opera incompleta.
Trovare del nuovo incenso non era un’impresa semplice: dove si poteva andare a comprare? Certo, non al supermercato. Tanto più, il giorno di Sant’Ambrogio, in cui tutti i negozi erano chiusi!
Mentre la Risolartista pensava a una soluzione, le giunse all’orecchio un canto di preghiera: doveva essere l’ora della celebrazione quotidiana.
Immediata fu la sua reazione, e le sue gambette balzarono giù dalla scalinata, in direzione della sagrestia.
Per chi non fosse pratico del Museo Diocesano, vi dico che questo si trova accanto alla Basilica di Sant’Eustorgio. Ebbene, avere una chiesa come vicina di casa, in caso di bisogno di incenso, è proprio una fortuna…
Come aveva sperato, bastò chiedere al sagrestano se avevano un po’ di incenso, e questo fu ben lieto di aiutarla, dandole tutto quello che le serviva. L’unica cosa che le chiese, fu il motivo di una simile impellente necessità: non capitava tutti i giorni che qualcuno venisse a “elemosinare” incenso in chiesa! La Risolartista gli rispose invitandolo a seguirla fino al museo: avrebbe visto la ragione con i suoi occhi.
I due corsero nella Sala dell’Annunciazione, che, così come l’aveva lasciata, era ancora completamente priva di fumo. L’ometto capì l’importanza dell’incenso: senza quello, l’opera perdeva tutta la sua unicità.
Dunque, procedettero subito a bruciare la sostanza profumata, diffondendo la sua nebbiolina bianca tutt’attorno al quadro, come per benedirlo. Pochi movimenti dell’incensiere bastarono, e la colonna prese di nuovo a liberare le sue volute bianche, che tornarono ad avvolgere la parte alta della tela. Il quadro di Tiziano era salvo, e il profumo di incenso pervadeva ogni angolo della sala.
Poco dopo, arrivò una coppia di visitatori, che reagì subito estasiata, riconoscendo il profumo che sembrava liberarsi davvero dal dipinto. In effetti, dopo l’operazione della Risolartista, in quel momento l’incenso bruciava davvero, e tutti potevano sentirlo.
L’idea di arricchire con “effetti speciali” profumati la mostra piacque moltissimo ai curatori del museo; a tal punto, che decisero di far bruciare l’incensiere per tutta la durata dell’apertura. Così facendo, non solo gli artisti “speciali” avrebbero potuto annusarlo, ma chiunque avesse deciso di giungere ad ammirare il capolavoro tizianesco.
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