L’ARTISTA
Bernardino Scapi, meglio conosciuto come Luini, nacque sul Lago Maggiore verso la fine del ‘400, e si formò probabilmente attorno a Verona. In breve, però, fece il suo ritorno in terra lombarda; terra a cui il suo nome rimarrà per sempre legato. Notoriamente, il nostro Bernardino è pittore lombardo, seguace di Leonardo, celebre per le sue tinte delicate, con cui delineò figure di santi in splendide cornici naturali. Se volete rivedere i paesaggi della Lombardia del primo Cinquecento, dovete solo affidarvi alla sua pittura.
Un giro nelle chiese di Milano e dintorni basterebbe per ammirare molte delle sue opere: si parte dalla Certosa di Pavia, per poi passare all’Abbazia di Chiaravalle, e ancora in Santa Maria della Passione e Santa Maria della Pace a Milano. La sua commissione più importante, però, non venne dal mondo clericale, bensì dalla ricca famiglia nobiliare dei Rabia, che lo incaricò di affrescare le pareti della loro Villa La Pelucca (Monza).
Confrontando gli affreschi giovanili, con i dipinti dell’ultimo periodo, si può apprezzare pienamente l’evoluzione stilistica del nostro artista. La mano luinese matura ha molto di Leonardo, con uno sfumato delicatissimo, che dà forma alle dolci figure femminili. Non manca un certo rigore prospettico ripreso dal Foppa, e neppure l’attenzione ai dettagli naturali tanto cara ai Fiamminghi. Se avete avuto l’occasione di osservare da vicino la “Madonna del Roseto” (a Brera), capirete cosa si intende: c’è Leonardo nella Madonna, e ci sono le minuzie nordiche in ogni bocciolo.
Grazie alle sue grandi capacità di rendere morbidezza e delicatezza dei toni, il Luini fu assai apprezzato ai suoi tempi, ritrovandosi pieno di commissioni di tele di piccolo formato, richieste da privati per la loro personalissima devozione.
Infine, ci sono due grandi capolavori che si meritano una citazione fin da subito. Il primo è la monumentale decorazione del tramezzo della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano. Si tratta della “Passione e Crocifissione”: l’affresco rinascimentale più famoso che il territorio svizzero possa vantare. Un brulichio di figure umane, animali e angeli, che si affollano nel tentativo didascalico di narrare le vicende sacre per istruire il pubblico di poverelli.
Il secondo, invece, è un tesoro tutto milanese. Lo trovate nella Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, che allora era un centro religioso femminile. Al Luini fu affidato anche qui il tramezzo, assieme alle “Storie di Santa Caterina” di una cappella.
Da questi cenni sull’autore, quello che vi consiglio di conservare è prima di tutto la dolcezza. Dolcezza di toni, forme e colori. Dolcezza di soggetti, e di dettagli di contorno. Dolcezza, che rende Bernardino una delle mani migliori della Lombardia di inizio Cinquecento.
LE OPERE
SPOSALIZIO MISTICO DI SANTA CATERINA (POLDI)
Siete qui invitati ad assistere a uno sposalizio: quello tra il Bambino Gesù, e la sua devota seguace Santa Caterina d’Alessandria, che decise di consacrargli tutta la sua vita. Per questa sua fedeltà, fu martirizzata in modo terribile; prima tentarono di ucciderla sotto una ruota dentata, poi, fallito l’intento, la decapitarono direttamente.
Malgrado i dettagli cruenti (le vite dei santi ne sono sempre piene…), la scena in questione colpisce per l’estrema dolcezza e serenità. Le espressioni dei protagonisti sono calme, pacate, in perfetto stile leonardesco; come leonardesco è anche il paesaggio alla finestra. Notate un fiume, una riva verdeggiante, e un mucchio di montagne che si disperdono nella foschia lombarda, con sfumature bluastre in prospettiva aerea.
Tutti sono concentrati su quel piccolo anello, suggello del matrimonio della santa. Noi, però, è bene che ci concentriamo anche sul chiaroscuro, ancora ripreso da Leonardo, e sulla composizione ispirata ad Andrea Solario. Infine, la capanna accanto al corso d’acqua merita una menzione speciale, in quanto segno di un’approfondita conoscenza della pittura fiamminga da parte del Luini, in quanto simili costruzioni ne erano tipiche ambientazioni.
CRISTO TRA I DOTTORI
Anche se il giovane dipinto sembra un bel po’ più grande, l’episodio ritratto sarebbe quello di Cristo dodicenne, che si mette a insegnare ai dottori del Tempio di Gerusalemme, stupendoli con la sua sapienza. Probabilmente, questa incongruenza d’età fu dovuta all’opera a cui il Luini si è ispirato: un analogo soggetto di Dürer, che ai tempi doveva essere molto popolare. Anche in quello Gesù aveva soffiato più di dodici candeline sulla torta…!
Al di là degli anni di età, ci interessano molto di più le espressioni dei personaggi immortalati: osservatele, e rimarrete sorpresi per i “moti dell’animo” che trasmettono. Qui, va detto, il merito va tutto a Leonardo, che il Luini ha fedelmente ripreso. Pensate che, all’inizio, il quadro era persino stato assegnato allo stesso maestro fiorentino; ciò che Bernardino aggiunge (e che distingue i due artisti) sono i colori. Colori accesi e brillanti, come quelli dei veneziani, anziché le tinte pastello tipiche leonardesche.
MADONNA DEL ROSETO (BRERA)
Non ci potrebbe essere fiore più appropriato della rosa da accostare alla Madonna. Maggio è il mese di Maria… maggio è il mese delle rose. Fin dal Medioevo, nella nostra tradizione, i boccioli dal gambo pieno di spine sono uno dei simboli mariani per eccellenza. Qui abbiamo un’intera parete di rose rampicanti, dalle delicate tinte rosate e panna, che si arrampicano su una griglia di legno.
Tuttavia, se fate attenzione, noterete la presenza di un’ulteriore specie floreale: l’aquilegia. La vedete in mano al Bambinello, che spunta timida dal vaso di sinistra. Come mai mettere anche un’aquilegia? Essa è un simbolo insolito, ma emblematico: ci ricorda la futura Passione di Cristo nel suo colore rossastro simile al sangue.
Quest’opera, capolavoro conservato alla Pinacoteca di Brera, è un piccolo gioiello di mano del Luini. Splendida è la resa dei fiori, che sottolinea un gusto tardogotico per le minuzie vegetali. Splendida è anche la Madonna stessa, con un volto di grande dolcezza, reso con lo sfumato leonardesco. Anche il piccolo Gesù riprende Leonardo nella sua posa: una posa curiosamente diagonale, che ci vuole far osservare la suddetta aquilegia, e il “vaso mistico” in cui è contenuta (un ulteriore simbolo di Maria).
AFFRESCHI S. MARIA DELLA PACE – STORIE DELLA VERGINE E DI SAN GIUSEPPE
L’origini di tanta raffinatezza di affreschi è da ricondurre alla Chiesa di Santa Maria della Pace, in Via San Barnaba, a Milano. Questo luogo, un tempo (come ancora intuiamo dal nome e dalla struttura) era una chiesa, nata sotto gli Sforza, e progettata dall’architetto Guiniforte Solari. La sua storia è stata molto travagliata, e non è il momento giusto in cui parlarne; vi basti sapere che oggi è sede dei Cavalieri del Santo Sepolcro, e che secoli fa era adornata dalle opere del Luini.
Torniamo ai nostri affreschi. Essi provengono dalla chiesa suddetta; dalla cappella di San Giuseppe, per l’esattezza. In effetti, il fatto che ci narrino le storie della Madonna e di Giuseppe ci fanno capire, nella loro destinazione originaria, il motivo.
Quando Santa Maria della Pace fu soppressa come luogo di culto, questo ciclo di dipinti fu (barbaramente) staccato dalle pareti, per poi essere incollato su tavole di legno, come la tecnica del “distacco degli affreschi” prevedeva. Era il 1805: i primi pezzi dell’opera giunsero alla Pinacoteca, ponendo fine alla possibilità di ammirare davvero l’aspetto originario della cappella di San Giuseppe. Ancora oggi, infatti, per cercare di ricostruirne l’ordine veritiero, ci affidiamo a un acquerello di un tale Pogliaghi, che la ritrasse appena prima che avvenisse il distacco degli ultimi brani. Doveva essere bellissima: pensate agli affreschi che vedete a Brera, e immaginateveli con splendide cornici in stucco che li circondavano. Pensate di entrare in quel piccolo luogo raccolto, e di imparare la vita di Maria e di Giuseppe, così come il Luini ce l’ha voluta illustrare. In più, la sua mano non era l’unica ad aver contribuito ad adornare la cappella della ex chiesa: giunse (forse) da lì, anche la pala di un seguace dello Zenale (altro pittore lombardo dell’epoca), che raffigura l’Annunciazione secondo il testo dell’Apocalypsis Nova.
Che cosa sarebbe questa “Apocalypsis Nova”? Essa si tratta di un’opera dal contenuto profetico e visionario, scritta dal francescano portoghese Amedeo Mendez da Silva. Dovete sapere che questi, oltra e essere il fondatore dell’ordine degli Amadeiti, costruì anche convento stesso di Santa Maria della Pace. Capiamo subito come mai gli artisti della sua chiesa si siano ispirati ai suoi scritti per realizzare i loro dipinti…
Sempre l’Apocalypsis fu la fonte per la scena dell’affresco che raffigura San Giuseppe eletto sposo dalla Vergine. È da questo testo che dobbiamo trarre la sua lettura.
Mentre cerchiamo di ricostruire la bellezza della chiesa quale era nel 1500 (e l’allestimento ideato dal vecchio direttore Modigliani ci aiuta), possiamo soffermarci a riconoscere lo stile del Luini. Come al suo solito, c’è grande naturalezza, unita a toni pastello, con un influsso del Bramantino e, perché no, anche del Foppa. Se confrontate gli affreschi in questione con quanto fatto dal Foppa in Sant’Eustorgio, potreste trovare ottime somiglianze. Tuttavia, Bernardino Luini fece un passo “realistico” ulteriore al collega antecedente: l’umanità delle espressioni, merito della conoscenza leonardesca, è senza pari. Anche se “strappate” dalla loro origine, queste opere hanno ancora tanto da raccontare… così tanto, da meritarsi di essere parte della “Galleria degli Affreschi” braidense.
AFFRESCHI DI VILLA LA PELUCCA
Per poter ammirare gli splendidi affreschi di Villa La Pelucca, non dovete andare a bussare alla porta della casa nei dintorni di Monza. Lì, nessuno vi aprirebbe (o se anche qualcuno vi aprisse, non trovereste ciò che cercate!). Come era accaduto per gli affreschi luinesi di Santa Maria della Pace, così avvenne anche per questi qui. Tra il 1821 e il 1822, poco prima che la villa fosse venduta ai privati, essi furono staccati e incollati su tavole di legno, per poi essere portati in gran parte a Brera. Ed è nella Pinacoteca milanese, dunque, che occorre indirizzare i nostri passi, per trovare le opere del Luini.
Prima però, per i curiosi, diciamo qualcosina sulla loro provenienza; ossia su Villa La Pelucca. Si trattava di un’abitazione suburbana, costruita dal nobile meneghino Gerolamo Rabia nel XVI secolo. Il nome curioso deriva, però, dalla famiglia Pelucchi, che si diceva risiedesse nell’edificio (prima della ristrutturazione del Rabia) fin dal 1194. Se inizialmente era una cascina agricola, grazie al buon gusto del nuovo proprietario divenne una residenza signorile, meritevole di essere impreziosita dalla mano del Luini.
Malgrado i suoi affreschi non siano più in loco, ci è ancora possibile intuirne parte della bellezza. Solo “parte”, in quanto alcuni pezzi sono andati perduti, e i rimanenti sono stati gravemente danneggiati da quella tecnica di distacco non molto efficace, che provocò diverse crepe e fessure, per via del supporto ligneo su cui erano stati incollati.
Mettendo da parte il rancore per non poter tornare indietro nel tempo e rivedere lo splendore di Villa La Pelucca, concentriamoci su quanto ci rimane. Abbiamo un vasto ciclo di soggetti di stampo umanistico, tratti dal mondo delle corti, dalla mitologia, e dalle Sacre Scritture. Considerando che erano diverse le stanze a essere affrescate, si doveva trattare di un patrimonio pittorico decisamente vasto. Lo stato attuale di conservazione, purtroppo, ci toglie gran parte dell’antico fascino… gli affreschi sono così rovinati, che appena si percepisce la mano delicata del Luini.
Per quel che riguarda le storie che ci sono narrate nella Galleria degli Affreschi braidense, spicca tra tutte la scena più celebre: il “Bagno delle Fanciulle”. Tematica curiosa, con rimandi mitologici, che ci regala splendide pose di ninfe a mollo nell’acqua, o intente a legarsi i sandaletti ai piedi dopo la nuotata. Altro soggetto sono i puttini vendemmianti, di cui abbiamo qualche frammento sparso. In quanto a fattezze, sono davvero adorabili; e c’è chi pensa di doverne attribuire uno al Bramantino.
L’ultimo affresco degno di nota è il “Corpo di Santa Caterina” che viene trasportato via dagli angeli in volo. Si trovava in origine nella cappella della Villa; oggi, però, lo vediamo completamente fuori dal suo contesto sacro. Malgrado questa diversità di contorno (ritrovarselo in una cappella avrebbe fatto tutto un altro effetto), si tratta di una delle scene più belle e meglio conservate, che ci trasmette tutta la dolcezza lombarda dell’arte di Bernardino.
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