La parola Epifania deriva dal greco “epì” (sopra) e “phàinomai” (mostrarsi)… interpretandola bene, andrebbe tradotta con manifestazione. Per quanto si parli comunemente di Epifania come della venuta dei Magi, in realtà il suo significato è un po’ diverso. Noi, che vogliamo essere precisi, la leghiamo alla manifestazione di Dio in Gesù Bambino, nato in quella semplice capanna di Betlemme. Di conseguenza, l’Epifania del Bambinello è la causa di ciò che noi di solito chiamiamo in questo modo, ossia l’Adorazione dei Magi. Senza la nascita di Cristo, nessun sapiente orientale avrebbe mai fatto capolino di fronte alla mangiatoia per offrire i suoi ricchi doni!
Se ci pensate bene, l’Epifania potrebbe anche essere collegata a un altro episodio evangelico, quello dell’Adorazione dei pastori. In fin dei conti, Gesù non è venuto al mondo per manifestarsi solo ai Re Magi, ma a tutti gli abitanti di Betlemme pronti a riconoscerlo in quei giorni speciali. Estendendo ancor più il punto di vista, l’Epifania diventa manifestazione per ognuno di noi, in quanto il suo arrivo tocca e abbraccia l’umanità intera.
Questi grovigli di termini e interpretazioni dell’Epifania hanno uno scopo: costringerci a pensare un po’ più all’importanza della suddetta manifestazione. Una manifestazione che dovrebbe coinvolgere ciascun cristiano, convincendolo a mettere il naso fuori casa, e avvicinarsi anche lui alla capanna di Betlemme.
Mi rendo conto, che, anni e anni dopo, immedesimarsi nei Re Magi nell’atto di adorare il Bambinello non è semplice. L’uomo, si sa, ha bisogno di qualche oggetto materiale per toccare e vedere quello che gli si chiede di immaginare. Le opere d’arte servono (tra le loro tante funzioni) anche a questo: sono utili a ricondurci accanto alla mangiatoia, portando il nostro piccolo dono al nuovo nato.
Il dipinto che voglio proporre è una scelta inconsueta, che si distacca dai classici capolavori ben noti. Si tratta di un affresco, anzi di “pezzi di affreschi”, provenienti da quella che fu la chiesa di Santa Maria della Pace di Milano (oggi sconsacrata). L’autore è Gaudenzio Ferrari, pittore lombardo del primo ‘500. La dimora attuale di quest’opera è la Pinacoteca di Brera; la “Galleria degli Affreschi”, per la precisione.
Approfittiamo, dunque, di questa occasione artistica, per accogliere l’Epifania nel nostro cuore, e unirci al corteo dei Magi in cammino verso Betlemme…
Già che siamo per strada in mezzo a una folla pittoresca (se osservate bene l’affresco ne vedrete di ogni), andiamo a conoscere meglio i nostri compagni di viaggio.
Intanto, siamo in un corteo piuttosto numeroso; malgrado le pagine evangeliche non citino nulla di tutto ciò, i pittori del Medioevo e Rinascimento si sono sempre divertiti a popolare di figure le loro Adorazioni. Dai Magi solitari, si è passati a una fiumana di persone dall’aspetto orientaleggiante, che parrebbe uscito direttamente da una fiaba delle Mille e Una Notte. Questa interpretazione la ritroviamo in Gaudenzio, ma non solo… il più celebre corteo è senz’altro quello di Gentile da Fabriano, che ebbe la fantasia di riempire tutta una cappella di Palazzo Medici Riccardi (a Firenze) con la sua folla variopinta e indorata.
In questo caso, anche senza essere accecati dall’oro dei dettagli gotici (al suddetto Gentile piaceva molto utilizzare l’oro), possiamo deliziarci con curiosi personaggi e bestiole addomesticate. Guardate quel timido cagnolino bianco, che se ne sta a accanto a un bimbo in vesti esotiche e raffinate. Oppure, guardate quel felino portato direttamente dalla savana… sarà una lince o un ghepardo?! Chissà. E, poi, non mancano i personaggi dalla carnagione scura, color caffellatte, che testimoniano ulteriormente la lontana provenienza dei nuovi arrivati.
Ora che abbiamo ammirato i dettagli di questo corteo affrescato, possiamo approfondire qualcosa sui suoi protagonisti: i Magi.
Nelle varie rappresentazioni che si contano nella storia dell’arte, essi sono sempre immortalati con carnagioni di diverse tinte: l’africano color cioccolato non manca mai, e neppure l’indiano color cannella. Tale varietà cromatica è simbolo del loro essere “tutti i popoli della Terra” che rendono il loro omaggio a Dio. Nelle figure dei Re Magi, dunque, potremmo identificarci anche noi.
Proseguendo con le curiosità, vi posso dire che, mentre in Occidente se ne raffigurano sempre tre, nelle catacombe ve n’erano quattro, e per la Chiesa bizantina persino dodici! Ciò che ritorna sempre sono i loro doni, dai rispettivi significati molto eloquenti. Abbiamo l’oro, che ci richiama la “regalità” del Figlio di Dio; abbiamo l’incenso, simbolo di “divinità”. La mirra, infine, preannuncia già la Passione di Cristo, in quanto resina aromatica tradizionalmente utilizzata per l’imbalsamazione.
Tuttavia, i suddetti tre doni hanno anche un’altra simbologia; oro, incenso e mirra sono un tributo alla Trinità: oro per il Padre, incenso per lo Spirito Santo, e mirra per la morte redentrice del Figlio. È chiaro che ciascuno di quegli scrigni che vediamo sempre nelle mani dei Magi ha un valore inestimabile…
Il fascino del corteo di questi re sapienti che vengono da lontano fa sempre un certo effetto. Ci sono tutti gli ingredienti per vederli come i protagonisti di una bella fiaba di sfondo medievaleggiante. C’è il cattivo, Erode, ci sono loro, ignari del tranello in cui stanno per cadere, e c’è il buon angelo che apparirà in sogno per salvare la vita al Bambinello. Senza dimenticare lei: la buona Stella Cometa, che segna il cammino dei Re Magi fino alla capanna di Betlemme, rischiarando eternamente la scena della vera Epifania.
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