Lo sguardo enigmatico della Vergine pensosa carpisce subito l’osservatore. Silenziosa, distoglie per un attimo l’attenzione dal libro che reca tra le mani, per rivolgersi al nuovo venuto. Sarà l’Arcangelo Gabriele, giunto per dare il suo annuncio? Oppure, un semplice visitatore, che si è ritrovato davanti alla Vergine Leggente al Museo Poldi Pezzoli? Chissà…
Fino a qualche anno fa, il suddetto visitatore non avrebbe neppure potuto imbattersi in quest’opera curiosa: la donazione è recentissima, ed è una di quelle rare occasioni in cui poter ammirare Antonello da Messina in terra milanese. Le testimonianze del pittore siciliano, infatti, sono disperse in giro per il mondo; questa piccola effigie è una vera perla preziosa. Ancor più, considerando che poco sappiamo di lui, malgrado la sua importanza per la storia dell’arte di tutto il Rinascimento e i tempi a venire. Perciò, dobbiamo essere grati al signor Roberto Longhi, che, nel non così lontano1944, attribuì la tela ad Antonello, aggiungendo un tassello speciale al suo mosaico di produzione ancora misteriosa. E lo dobbiamo essere anche nei confronti di Luciana Forti: la gentile donatrice dell’opera, che l’ha affidata alle mani del Poldi Pezzoli nel vicinissimo 2018.
Misterioso l’autore, e misteriosa è anche l’opera in questione. Non sappiamo con certezza quando fu realizzata; a giudicare dallo stile, ancora piuttosto acerbo, gli esperti la riconducono al suo periodo giovanile, trascorso tra Napoli e la Sicilia. 1460, come dice la didascalia…
Per comprenderlo al meglio, occorre ricordare ciò che la mano messinese assorbì in quegli anni di apprendimento. Tra il 1445 e il 1455, Antonello lasciò la sua terra natia, per giungere nella più popolosa metropoli del tempo: Napoli. Laggiù, erano tempi in cui la pittura fiamminga era molto di moda, giunta con quei capolavori che i commercianti attivi nelle Fiandre non si facevano mancare nelle loro collezioni domestiche. E, poi, c’erano persino gli artisti fiamminghi in persona, in viaggio in Italia per curare la loro personale formazione. Insomma, essere un pittore alle prime armi, a Napoli, e circondato da personaggi nordici assai apprezzati, si traduceva in un fascino indiscusso nei loro confronti. Così accadde anche ad Antonello, che si ispirò moltissimo alle tecniche fiamminghe, a cominciare dalla ritrattistica (che è ciò che qui ci interessa)…
Ritratto, per i Fiamminghi, si traduceva in posa di tre quarti, così da poter comunicare al meglio tutta la psicologia interiore dei soggetti. Niente più profili impalati, bensì uomini e donne umani, naturali, che parevano invitare l’osservatore a rivolgere loro la parola. Lo sfondo era scuro, così da far emergere la figura in primo piano, mettendo in luce ogni singolo dettaglio. Dettagli: altro tratto emblematico, che si traduceva in particolari a profusione, tanto negli abiti, quanto negli oggetti disposti accanto agli effigiati. Ultima cosa, la tecnica a olio. Oggi scontata, fino ai Fiamminghi mai utilizzata. Qui, però, il pittore adotta un misto di tempera e olio, e non olio puro. Lo potete capire dall’incarnato: pallido, tendente al verdognolo, come era inevitabile che avvenisse con la tempera. Questa, infatti, prevedeva come prima cosa di stendere uno strato scuro, su cui poi veniva costruito il colore della pelle, sovrapponendo tinte via via più chiare.
Ebbene, tutto quanto detto si traduce nella Vergine Leggente in questione, quale esempio di ispirazione ai grandi nomi nordici del tempo… pensate a Van Eyck o a Roger Van Der Wayden, per intenderci. È ora di fare conoscenza con questa Madonna antonelliana del Poldi Pezzoli…
Già dal primo saluto, cattura senza scampo l’attento osservatore. Merito di quell’inquadratura così ravvicinata, anch’essa tipica fiamminga, che ce la presenta come fosse un essere vivente. È lì, che ci osserva dalla sua tela, accortasi di noi mentre era concentrata sul suo volumetto di preghiere. Un volumetto di ottima fattura: rilegato in pelle, con piccole borchie metalliche sulla copertina, e dalle pagine profilate d’oro. E, poi, c’è quel piccolo segnalibro d’oro, che potrebbe muoversi da un momento all’altro, come fosse appeso davvero alla tela.
Raffinatissimo è l’ abbigliamento della Vergine: mantella blu notte, forse di velluto, con una spilla di perle che circondano un rubino. Un gioiello adatto a una dama dell’alta società quattrocentesca. Ciò che più toglie il fiato, è quel velo bianco, dai drappeggi trasparenti, che vuole alludere simbolicamente al matrimonio. Se siete pratici degli artisti fiamminghi, l’avrete già visto da qualche parte: è quasi lo stesso del Ritratto di donna di Va Der Wayden (Washington). Dal momento che quest’ultimo risale al 1435, è assai probabile che il messinese ne abbia tratto spunto per la sua versione.
Tuttavia, se Antonello cerca di imparare dai maestri che lo affascinano, l’opera in questione è anche un campo di sperimentazione. Come un qualsiasi scolaro intraprendente, anche lui prova, e riprova. Sbaglia, e corregge. Di correzioni, qui, ce ne sono in abbondanza: le radiografie hanno rilevato addirittura un San Michele Arcangelo sotto il dipinto attuale. Inoltre, riconoscerete facilmente la modifica (molto evidente) della mano destra, che in origine doveva essere quasi tutta visibile sulla copertina del libro.
Passiamo alla corona: una tiara principesca, che due angioletti sono nell’atto di adagiare sul capo della Vergine. Anche qui, citiamo subito il rimando nordico, che ci riconduce al Polittico di Gand, realizzato da Jan e Hubert Van Eyck. Esattamente come nel particolare fiammingo, la Madonna di Antonello sta per essere adornata da un copricapo a dir poco floreale. Un bouquet di simboli, che alludono all’iconografia mariana ed evangelica. Abbiamo i gigli bianchi, emblema di purezza e verginità; abbiamo le rose rosse, che anticipano la Passione del Figlio; e non mancano le campanule: quei timidi fiorellini sull’azzurro, indicanti il lutto che la donna dovrà sopportare. In quella quiete silenziosa della scena, è espresso il futuro tragico della morte di Cristo. Se osservate bene, la Vergine, con il suo sguardo pensoso e perso nel vuoto, pare già conoscere il supplizio. Eppure, non si muove. Accetta di sottomettersi alla volontà di Dio. Non si oppone. Non reagisce. Ha fede nell’Altissimo, ed è pronta a fare ciò che le è chiesto.
Con questa nuova lettura profonda e introspettiva nel cuore, torniamo ancora una volta a rivolgerci alla protagonista del dipinto. Se, all’inizio, ci eravamo soffermati solo sulle minuzie tecnicistiche, ora possiamo comprendere davvero la sua mestizia e il suo strano contegno. Lei sa. Sa del sacrificio di suo Figlio, ancor prima di averlo dato alla luce. E così, quando gli angeli la incoronano e la chiamano Beata, lei si prepara con l’animo ad affrontare la sua grande, e al contempo difficilissima, chiamata…
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