Ogni volta che si fa visita alla maestosa dimora milanese dei Necchi Campiglio, ne si scopre un tesoro diverso. A volte, le sue stanze ci fanno viaggiare lontano, fino a vedere i riflessi del Sol Levante che luccicano sulle porcellane cinesi. Altre volte, invece, sono i dipinti a guidarci all’avventura, mostrandoci scorci pittoreschi che non ci saremmo aspettati di trovare lì.
Basta affidarsi ai motivi architettonici a losanghe di Piero Portaluppi (architetto della villa), per far correre la mente tra storie affascinanti di vita passata…
Oggi, i nostri passi ci conducono fino alla Camera della Principessa, situata al primo piano della casa. Varcata la soglia, l’atmosfera portaluppiana scompare, sostituita dallo stile Luigi XVI. Ci si potrebbe chiedere come mai. Ebbene, questa stanza rievoca quella che doveva essere la dimora dei signori Alighiero ed Emilietta de’ Micheli.
Ci si potrebbe chiedere, ora, chi siano costoro. Si tratta di due coniugi collezionisti, che nel 1995 lasciarono le loro preziose opere al FAI. Si è pensato di far onore al loro ricordo, ricostruendo il contorno originale della raccolta di dipinti da loro donata. Certo, è un mobilio decisamente diverso dal minimalismo pulito del Portaluppi… tuttavia, è ben in tinta con quanto si scorge nelle cornici.
Ed è proprio a una di quelle cornici che ci vogliamo avvicinare.
“Veduta del Canal Grande verso occidente con la chiesa della Salute” – questo è il titolo che non compare su nessuna targhetta (forse sarebbe il caso di appenderlo!), ma che si collega alla veduta in questione.
L’autore è Giovanni Antonio Canal, meglio noto come Canaletto. E la datazione è riconducibile al 1735: periodo di gran fiorire di produzione dell’artista.
Se vi avvicinate un poco, potrete quasi sentire l’aria della laguna che vi solletica il viso. È una giornata di sole, come le tipiche atmosfere in cui l’autore amava immortalare la sua città. È una giornata di quiete, senza troppa folla a occupare il calale, ma in cui non mancano i gondolieri intenti a svolgere le loro pratiche quotidiane. C’è chi rema, chi ormeggia la sua bagnarola lignea, e chi passeggia tranquillamente sulla riva, godendosi il tepore delicato. Sulla sinistra compare la chiesa di Santa Maria della salute; considerando la posizione del sole, potrebbe essere l’ora della messa di una bella domenica mattina. Niente vento, qualche increspatura sulla superficie dell’acqua, e l’immancabile luce chiara e cristallina che delinea tutto il profilo della Serenissima.
Stiamo ammirando uno scorcio del Canal Grande: oltre alla chiesa citata, si riconoscono sul fondo Palazzo Giustiniani, Palazzo Erizzo e persino il campanile di San Marco. Non manca nessuno: tutto ciò che poteva essere incluso nella veduta è stato dipinto. Come al Canaletto piaceva molto fare, la realtà è riprodotta in modo fotografico, ma non troppo. Noterete gran cura nei dettagli, ancor più attenzione nella resa luministica, ma, se siete attenti, qualche licenza poetica in termini di spazialità. Se vi recate sul posto, a Venezia, sarà spesso difficile catturare in solo colpo d’occhio tutto ciò che l’artista includeva in una sola tela. Amava giocare con gli edifici, talvolta stringendoli un po’ più, cosicché ci stessero tutti quanti, e riempissero il suo capolavoro di forme e colori.
Già che siamo impalati davanti a questa splendida tela settecentesca, vale la pena ricordare un altro trucco nascosto nella tecnica canalettiana. La camera oscura.
Camera oscura, come quella che si usa tutt’oggi nelle macchine fotografiche tradizionali. Dovete immaginarvi il Canaletto a spasso per Venezia con questo curioso marchingegno, simile a una scatola, che faceva penetrare da un buchetto un raggio di luce, lo faceva rimbalzare su un paio di specchi, e poi lo proiettava su una superficie esterna. Superficie che, nel caso del pittore, non era una pellicola, ma un foglio di carta. Sfruttando l’immagine comparsa sulla pagina, egli la ricalcava a matita e penna, realizzando uno schizzo dalle proporzioni perfette. Poi, se voleva includere ancor più edifici, spostava la camera, e prolungava la veduta, come se stesse utilizzando uno dei nostri obbiettivi grandangolari.
Il vero dipinto, però, si costruiva in studio. È nel suo atelier, che questo scorcio del Canal Grande prese vita, tingendosi di tutte le sue sfumature grigio-azzurre. Prima comparirono gli edifici, e poi le curiose macchiette di veneziani affaccendati in primo piano.
Grazie a questa tecnica modernissima, il Canaletto era capace di far affacciare anche osservatori molto lontani (nello spazio e nel tempo) sui canali della sua amata Venezia.
Ed è così che, anche noi, rimanendo con i piedi nella Camera della Principessa di Villa Necchi, possiamo volgere il nostro sguardo in direzione della Serenissima. Possiamo rimanere affascinati da quelle chiare luci mattutine, che rimbalzano sugli edifici, fino a uscire dal dipinto, e fermarsi sulle ricche porcellane svettanti sulla parete. Non c’è atmosfera più adatta per rievocare i fasti settecenteschi della città dei dogi…
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