Quando il III secolo d. C. giungeva ormai al termine, l’imperatore Massimiano assunse il controllo dell’Impero Romano d’Occidente, spartendosi il trono delle vastissime terre con Diocleziano, che rimase a capo dell’Oriente. Dovendo scegliere una capitale che fosse opportunamente strategica per il combattimento dei popoli barbari del nord Europa, si rivolse alla nostra Milano, allora nota come Mediolanum. Essa era infatti situata nel crocevia delle arterie che mettevano in comunicazione Roma e il Mediterraneo con i valichi alpini, con le Gallie e le regioni balcaniche. In breve, era il luogo perfetto in cui porre il suo centro di controllo; centro che rimase tale dal 286, fino agli inizi del V secolo, quando la capitale fu spostata a Ravenna.
L’esistenza del palatium fatto costruire da Massimiano come sua residenza “meneghina” viene citato per la prima volta nel panegirico di Claudio Mamertino, in cui si parla dell’incontro tra il suddetto imperatore e Diocleziano, avvenuto proprio nel palazzo tra 288 e 289 d.C.
Lo schema urbanistico dell’edificio riprende il tipico palazzo-circo romano, i cui resti sono oggi visibili nelle vicinanze della Torre Gorani.
Per la sua realizzazione, venne scelta un’ampia porzione della città, dove allora vi erano residenze di alto rango. Dalle ricerche, si desume che l’area si estendesse su buona parte del quartiere occidentale di mediolanense; in particolare, doveva essere racchiuso tra gli attuali Corso Magenta, via Santa Maria alla Porta (antico decumano massimo), via Torino, e dalle strutture del circo a ovest.
La costruzione del palazzo modificò profondamente l’assetto urbano: via Torino divenne il nuovo cardo massimo, collegando il centro del potere politico (il palazzo) all’area di piazza del Duomo, dove nel IV secolo sarebbe sorto il complesso episcopale.
Per quel che riguarda l’utilizzo in sé della struttura, era un vero e proprio centro polifunzionale: era dimora residenziale, quanto ufficiale di Massimiano; era sede amministrativa dell’Impero, e, molto probabilmente, anche alloggio della guardia imperiale. Viste tutte queste funzioni, l’impianto era altrettanto complesso, organizzato a gruppi, che si affacciavano su una serie di corti porticate (come quella di via Gorani 4), che collegavano ambienti pubblici e privati.
Dobbiamo immaginarci un ingresso monumentale, affacciato sull’odierna via Santa Maria alla Porta (allora il decumano massimo), dal quale si passava a un vestibolo di intermezzo e poi a un’ampia sala riscaldata. Come le più prestigiose dimore romane erano solite avere, anche il palazzo imperiale meneghino era dotato di riscaldamento a ipocausto. Questo sistema si basava su dei condotti ricavati sotto il pavimento (rialzato su piccoli pilastrini), che erano collegati a una fornace esterna, detta “praefurnium”. In questo modo, il calore emanato dalla legna veniva convogliato in queste cavità, e distribuito in tutta la casa, riscaldando gli ambienti interni in modo eccellente.
Riprendendo il percorso immaginario nel palazzo, la sala citata era parte del settore di rappresentanza, caratterizzato da grandi ambienti maestosi, e da uno spazio absidato rialzato. Quest’ultimo faceva da podio per l’ “epifaneia” (manifestazione) dell’imperatore, ogni qual volta doveva apparire in pubblico.
Un lungo corridoio collegava la sala con l’area privata dell’edificio, conducendo a un portico, su cui si affacciavano cinque vani di piccole dimensioni. Erano probabilmente le stanzette domestiche dei familiari, a cui l’accesso era riservato.
A ovest, invece, si apriva un’altra sala dal bellissimo pavimento mosaicato a motivi geometrici esagonali. I suoi resti sono conservati nel piano interrato dell’immobile di Via Gorani 4.
Infine, nella zona settentrionale, sorgevano una sala trilobata (a tre absidi) e un altro vano probabilmente destinato a fare da triclinio per i banchetti degli abitanti del palazzo.
Le testimonianze del palazzo
Via Brisa:
le strutture riemerse dagli scavi del 1951-52 appartenevano al grande settore di rappresentanza; esse sono oggi ben visibili nell’area a cielo aperto musealizzata.
Si conservano le fondamenta, con alcuni brandelli di pareti. Ben riconoscibile è la struttura centrale di forma circolare, con diametro di circa 20 metri; doveva trattarsi di uno spazio colonnato, che metteva in comunicazione diversi ambienti del palazzo. Ai due lati di esso troviamo due ambienti simmetrici, con abside curvilinea al centro, e due absidi rettangolari accanto.
Sul lato occidentale del porticato, si apriva un altro ambiente sempre absidato, con due stanze rettangolari. Si pensa che una fosse una camera da letto (cubicula), mentre l’altra una sala da pranzo (triclinium). Ancora si possono scorgere i resti del sistema di riscaldamento a ipocausto, ossia i piccoli pilastrini in mattoni quadrati che reggevano il pavimento sospeso.
Via Gorani 4:
I ritrovamenti in quest’area hanno permesso di capire qualcosa di più sulla storia del quartiere abitativo nordoccidentale della città romana. Come già detto, il palazzo imperiale fu costruito in quello che doveva essere il luogo di prestigiose dimore di lusso. Le indagini hanno infatti riportato alla luce i resti di due domus di epoca più antica, risalenti al I-III secolo d.C., poi inglobate nel palatium di Massimiano.
All’angolo tra via Gorani e via Santa Maria alla Porta è inoltre possibile vedere altri resti del palazzo, quali l’aula absidata di rappresentanza e parte del corridoio. Interessante è il muro semicircolare in mattoni a nord: si tratta del praefurnium, ossia la fornace in cui avveniva la combustione dell’impianto di riscaldamento, che era collegata ai condotti di tutto l’edificio.
In merito alla sala absidata, si conserva il pavimento a tessere bianche e nere, caratterizzato da una cornice a doppia fila di cerchi. Proprio sotto la preparazione di questo pavimento, è stata ritrovata una moneta di Massimiano del 299 d.C.; si tratta di un’importante termine post-quem, che ci suggerisce una realizzazione successiva dell’ambiente.
Sotto all’abside della sala, si può invece osservare un brandello di mosaico risalente a una delle domus precedentemente presenti in situ.
Nello spazio attorno alla Torre Gorani, curiosando in due finestre aperte nel lastricato della piazza, si scorge il bellissimo pavimento a mosaico di un’aula di rappresentanza costruita a fine IV secolo. La decorazione presenta motivi geometrici a ottagoni e quadrati, contornati da una treccia bianca su fondo nero, e disposti a cerchio. Ciascun riquadro ha un soggetto particolare: compaiono un busto di Vittoria alata con tanto di corona d’alloro; un secondo busto femminile; e un simpatico pavone. Quest’ultimo, assai frequente nell’iconografia delle dimore patrizie romane, per la sua bellezza era considerato simbolo di incorruttibilità. Facile capire come mai dovesse dimorare tra le tessere musive di un palazzo imperiale.
Anche in questo caso, una moneta risalente al 352-355 d.C. (epoca dell’imperatore Costanzo II) fa da termine post-quem per ipotizzare la realizzazione della sala.
Infine, nello spazio interrato del nuovo palazzo, sono conservati i resti di un ambiente di I-III secolo d.C, con mosaico a tessere bianche e una lastra di marmo al centro, che venne poi coperto con la costruzione del palazzo di Massimiano.
Quando prima del palatium… c’erano le domus
Massimiano scelse di costruire la sua reggia in uno dei quartieri più prestigiosi della Mediolanum romana, noto per il suo essere area residenziale di prestigio. A testimoniare i precedenti insediamenti abitativi di alto rango, si possono oggi ammirare i resti di alcune domus di epoca più antica del palatium, risalenti addirittura al I secolo a.C.
I ritrovamenti, però, sono piuttosto limitati, e non permettono di ricostruire completamente quelle che dovevano essere le strutture delle dimore dei patrizi del tempo. Poche sono le tracce delle case iniziali, a causa della deperibilità dei materiali con cui erano realizzate; più numerose quelle delle più recenti, datate tra il I secolo d.C. e il V secolo. Ed è su queste che ci si vuole concentrare…
Come punti certi della struttura di queste domus possiamo citare l’atrio di ingresso, dotato di ampia vasca per la raccolta dell’acqua piovana, in perfetta linea con le tendenze romane. Numerosi sono i casi di riscaldamento a ipocausto, come già ricordato nel Palazzo imperiale, testimoniati dai pilastrini in mattoni che sostenevano i pavimenti (i cosiddetti “pilae”).
Le pareti, talvolta attraversate anch’esse da canali per il riscaldamento, erano fatte di ciottoli di fiume e laterizi legati da malta. Talvolta, invece, presentavano la tecnica “a sacco”: nucleo interno di malta e ciottoli, poi rivestito da altrettanti ciottoli o laterizi.
Emblematico è il caso delle fondamenta, caratteristiche dell’area milanese, che risolveva il problema del terreno paludoso. Si trattava di un sistema di bonifica detto “trincea a strati”, formato da strati pressati e alternati di limo, ghiaia, pezzetti di intonaco, malta e laterizi. Il tutto con il fine di consolidare e deumidificare il suolo, altrimenti molto instabile.
Come non poteva che avvenire nelle abitazioni più lussuose, completavano la struttura decorazioni di vario genere. Frequenti erano gli affreschi, e ancor più i pavimenti mosaicati, di cui abbiamo la fortuna di poter ammirare alcuni resti ben conservati.
Dei vari siti dispersi nell’area poi occupata dal Palazzo imperiale, uno dei più interessanti è senza dubbio quello di via Olmetto-vicolo di San Fermo, riportato alla luce negli anni ’70. Qui è stata riconosciuta una casa del I secolo a.C., di cui rimangono alcuni preziosi frammenti di mosaico. In uno di essi si può addirittura riconoscere una decorazione che riporta il profilo di una città con tanto di torri, realizzata a tessere bianche su sfondo nero.
La domus iniziale fu utilizzata per circa tre secoli, prima di essere ristrutturata nel IV secolo a.C., ossia all’epoca della costruzione e ampliamento del palatium. Perciò, è verosimile immaginare che quanto si può ammirare da questi scavi non si distacchi troppo da quello che doveva essere l’aspetto della residenza di Massimiano.
Splendidi sono i lacerti di mosaico che ci sono giunti da quella successiva risistemazione dell’area abitativa. Sono un raro caso di decorazione musiva figurativa, che si aggiunge a quelle ritrovate nei pressi della Torre Gorani. In questo caso, ci sono ben tre gruppi di soggetti differenti: il primo mostra due cervi in un paesaggio con radi ciuffi d’erba, che decorava forse la sala d’ingresso. Il secondo ha una decorazione geometrica, che contorna una tipica scena di amorini pescatori, che gettano le reti dalle loro barchette, sperando che si riempiano di pesci. Tale mosaico apparteneva senz’altro all’ambiente destinato ai banchetti. Infine, si conserva una parte di pavimentazione a motivi bianchi e neri, destinata a sottostare ai mobili o ai “klinai” (letti triclinari), inevitabilmente presenti in una dimora di tutto rispetto.
Un’ulteriore testimonianza di pavimento a mosaico di epoca pre-massimiana è quello conservato nella domus di via Circo 1. Si trattava senza dubbio di una di quelle abitazioni presenti prima della costruzione del Palazzo Imperiale, che fu poi demolita per fare spazio al nuovo impianto monumentale.
In questo caso, la decorazione è prettamente geometrica, ma molto elaborata, così da formare una struttura a disco centrale. Particolare è l’associazione della tecnica policroma a quella bianca e nera: attorno si vede un’orlatura bianco-nera dentellata, in cui si allineano rosette a quattro petali. Completano il tutto motivi intrecciati a più colori.
Lascia un commento