Brescia, 16 gennaio 2023
L’anno nuovo si inaugura in modo assai festoso per Brescia (e Bergamo): dodici mesi in cui fregiarsi del titolo onorifico di “Capitale della Cultura”. Se si è deciso di concederle tale appellativo, ci deve certo essere un che di artistico e speciale che si nasconde all’interno del suo perimetro cittadino. Va subito detto che, se pensate di arrivare, abbandonare la macchina per una qualunque strada, e soddisfare subito il vostro appetito di bellezza, rimarreste delusi. Il patrimonio culturale di Brescia (che persino l’UNESCO ha riconosciuto!) si fa desiderare… è necessario bussargli alla porta da vicino. Una volta trovato, però, ogni pregiudizio o critica cade, lasciando spazio alla voce dell’antica (e moderna) Brixia, che ha imparato a parlare il Latino, quanto il Longobardo, e il Volgare Italiano.
Tutto comincia lungo la Via dei Musei, che ben contiene nel suo nome la descrizione di ciò che vi si affaccia tra le case. Musei… ma, più precisamente, musei archeologici, che aprono a noi visitatori la via verso il passato. Due sono i complessi che vale la pena vedere (e conferma l’UNESCO) se si capita nei pressi di Brescia: quello prettamente Archeologico, che fa esplorare i monumentali resti della città romana che fu; e il complesso del Monastero di San Salvatore e Santa Giulia. Dovendo scegliere (qualsiasi stomaco si sazierebbe a pieno con uno soltanto), dirigiamoci verso il secondo, che risale la storia cittadina, percorrendone ogni gradino.
Come accennato, si tratta di un antico monastero, fondato nel 753 d.C. dal re dei Longobardi (popolo barbaro che occupava le terre lombarde nel Medioevo) Desiderio, e dalla moglie Ansa. Oggi, come ben si vede, monastero non lo è più: nel 1798, Napoleone decretò la sua chiusura, trasformandolo in caserma per i suoi militari. Da allora in poi, la sua funzione religiosa fu pressoché compromessa; non vale lo stesso per il suo tesoro artistico…
Tale tesoro, a dire il vero, non cominciò a essere costruito nell’anno medievale appena citato, bensì molti secoli prima, quando qui, a Brixia, dominavano i Romani. Il primo scalino del passato in ordine cronologico è rappresentato dalle cosiddette Domus dell’Ortaglia, dette così per l’essere state ritrovate nel mezzo dell’orto del Monastero. La storia andò più o meno così: dopo secoli di noncuranza (e cecità storico-artistica), ci si domandò come mai tra carote, pomodori e zucchine, sporgesse una colonna di aspetto assai antico. Ce lo si domandò a tal punto, da decidersi a scavare, per curiosare nel sottosuolo… ne emersero due ville romane, abitate tra il I e il IV secolo d.C. Scoperta entusiasmante: nonostante i secoli fossero trascorsi, e i Longobardi ci avessero costruito sopra (letteralmente) il proprio monastero, lo stato di conservazione era ottimo.
Ed eccole lì, dunque, nel profondo del Museo di Santa Giulia, le due domus dell’alta borghesia romana, con tanto di pavimenti a mosaico ancora ricchi di storie da raccontare. Compare Dioniso, il dio del vino, intento a dare da bere alla sua compagna pantera; ci sono poi rami carichi di frutti: melograni e (forse) pere. Immagini più confuse dipingono altre stanze… le stagioni, brocche per l’acqua, e rosoni che creano delicate armonie cromatiche tra di loro. Tanto è lo stupore che colma la vista passeggiando attorno ai resti antichi, quanti i non detti che attendono di essere ricostruiti e trovati.
Abbandonando il gradino romano, risaliamo verso tempi più recenti, passando per l’età tardo-antica, e tornando al periodo Longobardo. Tappa irrinunciabile: all’epoca di fondazione del Monastero (ricordiamo essere il 753) risale la Basilica di San Salvatore, che ha intriso, nelle sue forme lineari e pure, il gusto alto-medievale per la Classicità. La sua architettura, però, è molto di più; è un esempio di quello che definiremmo (noi moderni) un riciclo amico dell’ambiente! Attraversando la navata, o insinuandosi nella cripta, sarà difficile vedere una colonna esattamente uguale all’altra. Alcune sono lisce, altre scanalate, alcune con capitelli essenziali, altre con intagli elaboratissimi che richiamano i Bizantini. Motivo di ciò è la loro varia provenienza, che spazia dai resti di Brixia, fino alla lontana Ravenna bizantina. C’è qui da ricordare, infatti, che il Monastero e la sua Basilica furono costruiti letteralmente sopra il mondo antico sottostante.
Tuttavia, il tesoro longobardo più prezioso non è nella chiesa principale, bensì in un altro spazio, più piccolo, raccolto, e distante nel tempo. Si tratta dell’Oratorio di Santa Maria in Solario: edificio del periodo romanico, ossia posteriore a Re Desiderio. Al suo interno, l’antico dialoga con il moderno, creando un cerchio che unisce Romani, Longobardi, Età Comunale e Rinascimento. Partiamo dalla struttura, che si situa nel mezzo (mette d’accordo tutte le voci!) intorno al XII secolo, affrescata, però, con ricchissimi colori tinteggiati dal Ferramola: pittore bresciano del ‘500. Tra tutte le immagini, rimane nel cuore il cielo blu lapislazzuli, punteggiato da centinaia di stelline d’oro. Una cornice onorevole, per i due manufatti che vi sono conservati al di sotto. Due: uno per piano, dato che l’ambiente è situato su più livelli. In quello più basso, c’è la cosiddetta Lipsanoteca (contenitore per reliquie) romana, finemente intagliata in superfici d’avorio. Al di sopra, ecco la Croce di Desiderio: più di duecento cammei, cristalli, e pietre preziose, fissati sopra un’anima di legno a cui è inchiodato il Cristo. In essa, è racchiuso il cuore di tutta la storia del posto, simboleggiata dal manufatto che reca il nome del celebre re longobardo, senza in quale gli strati del passato non si sarebbero mai incontrati. Se appartenesse davvero a Desiderio, non è certo; quel che è sicuro, è che le monache residenti la utilizzarono per secoli durante le celebrazioni più importanti, trattandola come un tesoro dal valore inestimabile. Anche oggi, per noi contemporanei, scorrere gli occhi su quel tessuto di gemme variopinte è un piacere ricco di stupore e di pensieri che si ricollegano alla sua storia. La Croce, durante la sua più che millenaria esistenza, vide la crescita e il modificarsi del Monastero attorno a lei, presenziando (probabilmente) ai pittori rinascimentali che si arrampicarono sulle pareti a tratteggiare i loro affreschi.
Ammirato anche il tesoro di Desiderio, ci si può definire soddisfatti. Tuttavia, c’è ancora un angolo in cui concludere l’avventura bresciana in ogni tempo: il Coro delle Monache. Come fa intuire l’appellativo, si trattava del luogo dedicato alle Suore Benedettine, che giunsero nel Monastero a metà ‘400. Da lì, lontane dalla folla di fedeli, potevano assistere appartate alle funzioni religiose che avvenivano nel mentre nella chiesa maggiore. Anche qui, noterete lo zampino del Ferramola: dal pavimento, al soffitto, tutto è decorato con immagini parlanti della vita di Cristo. Non ci potrebbe essere finale migliore, che perdersi nella “Cappella Sistina” della romana, longobarda, comunale, e rinascimentale, Brixia.
Coro delle Monache
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