Se sfiorate con lo sguardo quel piccolo dipinto braidense, gli occhi azzurri della sua protagonista vi cattureranno senza lasciarvi andare troppo in fretta. Il piccolo ritratto che reca la firma di Sofonisba Anguissola è un tesoro molto particolare: notato da pochi, ma ammirato da molti. Testimonia una grande figura della storia dell’arte, che lasciò un segno indelebile nella pittura del nostro Cinquecento italiano. Per stuzzicare la vostra curiosità, posso subito citarvi un nome come quello del Caravaggio: ascoltate la storia di Sofonisba, e ne capirete il motivo.
Ma cominciamo dal nostro ritratto braidense. Si tratta di una tela minuta, dalla sobria e raffinata cornice dorata, che raffigura l’autrice stessa che lo dipinse: Sofonisba Anguissola. Malgrado qualche critico ritenga che il soggetto sia una delle sue sorelle, vogliamo prestare fede a quanto i curatori della Pinacoteca ci dicono, confermando la suddetta identità.
Per trovarlo (senza perdere un pomeriggio a girovagare invano per le sale napoleoniche), tirate dritto fino a quella piccola sala dei ritratti, che racchiude i capolavori del Lotto, del Moroni e di Tiziano. Dal momento che esso è custodito nella prestigiosa “galleria dei ritratti” di Brera, un motivo valido ci dovrà essere…
E, in effetti, già alla sola vista dell’opera, senza che si sappia nulla dell’autrice, rimanere a bocca aperta non è raro. Anzi, è inevitabile.
Avviciniamoci anche noi a quel dolce visino dai lineamenti quasi infantili, che emerge dallo sfondo ombroso, illuminando tutta la sala con i suoi due enormi occhioni blu. Che dire, Sofonisba aveva certo un talento nel rendere l’espressività realistica dei volti. Riprendendo il modello fiammingo della posa “di tre quarti” (un netto miglioramento rispetto alla moda di farla di profilo o frontale), la pittrice seppe immortalarsi in modo fotografico, lasciando che lo spettatore potesse conoscerla senza neppure interrogarla. Proprio così: dai suoi lineamenti si capisce molto del suo carattere e della sua personalità deliziosamente raffinata, con una punta di giocosità infantile non ancora perduta.
Ciò che colpisce, non appena ci si decide ad abbandonare i suoi occhi azzurri, sono quei minuziosi dettagli, fiamminghi anch’essi, che la rivestono di un abito scuro ed elegantemente ricamato, con tanto di colletto di pizzo bianco. Non manca neppure quel sottilissimo fiocco che congiunge le due parti… viene voglia di tirarlo, per vedere se si snoderà! Infine, c’è l’acconciatura elaborata, che si intravvede, mentre è immersa nella morbida penombra. La moda del tempo voleva che le fanciulle fossero agghindate in modo teatrale e principesco in ogni momento del giorno: qui ne abbiamo un esempio sobrio, ma tutt’altro che improvvisato.
È giunto ora il momento di staccare davvero lo sguardo blu di Sofonisba, per andare a scoprire qualcosa di più su questa grande artista. Se ci pensate bene, le pittrici che si contano nella storia dell’arte sono veramente poche; tutt’al più, i loro nomi hanno cominciato a emergere nei tempi più recenti. Eppure, anche il passato seppe dare i natali a qualche donna dalle eccellenti doti pittoriche che varrebbe la pena conoscere. Sofonisba Anguissola è una di esse. Anzi, è la prima di esse.
Come data di nascita dobbiamo collocarci nel cuore del Rinascimento italiano: Cremona, 1532. Terra di Lombardia. Terra di Lombardia, a inizio ‘500, significava grande fervore artistico, recentemente scosso dal passaggio di Leonardo, che aveva portato una ventata di novità fiorentina nella tradizione locale. Dal Foppa, dallo Zenale e dal Bergognone, si era presto passati a vedere i capolavori prospettici di Bramante, e i “moti dell’animo” leonardeschi. Proprio questi ultimi, i “moti dell’animo”, sono un prezioso particolare da ricondurre alla nostra artista.
Torniamo, dunque, alla giovane Sofonisba, che, seguendo i dettami educativi di Baldassarre Castiglioni (noto intellettuale umanista), ebbe una formazione a tutto tondo: letteratura, musica e… pittura. Tantissima pittura. Merito del padre, il signor Amilcare, uomo coltissimo, che volle istruire per bene le sue sei figliole (e il maschietto Asdrubale). Comprendendo le doti pittoriche precoci della primogenita, non le impedì di approfondire la materia, mettendola “a bottega” presso Bernardino Campi, grande artista della Cremona di allora. Intendiamoci bene: una donna pittrice, ai tempi, era una cosa ancor più inconcepibile di quanto lo sia stato per noi fino a poco fa. Di conseguenza, non la dovete pensare “a bottega” come un qualsiasi “Mantegna dallo Squarcione”;piuttosto, le fu concesso di apprendere la pittura nella casa del maestro, in modo adatto ai dettami della società.
Dopo Bernardino Campi, il suo secondo insegnante fu un altro Bernardino: Bernardino Gatti, detto il Sojaro. Da quest’ultimo apprese le tecniche luministiche, influenzate a loro volta dallo stile del Correggio.
Troppi nomi e niente sostanza, però, ci fanno capire poco di che cosa imparò davvero Sofonisba. Perciò, facciamo un po’ d’ordine, e riassumiamo i punti chiave della sua pittura. Prendendo spunto dal ritratto braidense, possiamo notare l’espressività dei lineamenti: i tipici “moti dell’animo” di Leonardo, citati poco fa. Proprio questi, pensate, furono oggetto di ammirazione da parte di Michelangelo, che si complimentò con il padre per un disegno che la figlia aveva fatto, dal grande potere emotivo.
E, se era brava con i volti (i ritratti erano il suo genere preferito!), lo stesso si poteva dire con l’utilizzo della luce, ispirata ai maestri lombardi della sua epoca. Per non parlare, poi, della resa dei particolari: un insegnamento tutto fiammingo.
La deliziosa mano di Sofonisba, grazie anche all’ “attività di marketing” svolta da papà Amilcare, la portò lontano. Fu addirittura assunta come maestra di disegno alla corte del re di Spagna Filippo II.
Il suo futuro, dopo il viaggio a Madrid, la portò in Sicilia, a Palermo, sposa di un alto funzionario di cui divenne presto vedova. In seconde nozze, abitò prima a Genova, e poi di nuovo a Palermo, senza abbandonare mai la sua pittura.
Di vita, morte e miracoli di Sofonisba abbiamo detto abbastanza. L’ultimo punto è rispettare la promessa fatta all’inizio: ricondurre l’artista a Caravaggio. Ebbene, si racconta (e i dipinti ne testimoniano la veridicità), che il grande pittore si sia ispirato (per non dire “abbia copiato”) all’espressione immortalata in un disegno di Sofonisba. Si tratterebbe del “Fanciullo morso da un gambero”, riprodotto molto simile nel “Ragazzo morso da un ramarro” di mano caravaggesca. Fate voi i confronti, e concorderete con me…
Ora che sapete qualcosa di più sugli occhioni blu di Sofonisba Anguissola, quando questi vi cattureranno nella sala della Pinacoteca, potrete soffermarvi a guardarli con un buon motivo. Non si tratta infatti di occhi qualunque, ma della memoria indelebile della prima grande pittrice della nostra storia italiana…
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