Le quattro tele lombarde dei precaravaggeschi, in mostra a Palazzo Marino, sono un ottimo spunto per parlare di due curiose protagoniste dell’arte sacra. Si tratta di Santa Caterina d’Alessandria e della levatrice di Gesù, Salomè.
Quando pensiamo alle donne nei testi biblici e nell’iconografia religiosa, subito ci viene in mente la (quasi) onnipresente Madonna, e, forse, la Maddalena. Tuttavia, se volessimo fare i pignoli, e metterci a contare le “presenze” all’interno dei dipinti, il secondo posto non spetterebbe a lei, bensì alla citata Santa Caterina. Come già anticipato, abbiamo a che fare con due donne speciali, di cui vale la pena scoprire qualche cosa di più, anche per poter apprezzare meglio le opere in cui le troveremo in futuro.
Dunque, partendo da due dei capolavori esposti alla mostra, andiamo a fare conoscenza con la prima protagonista…
Parliamo di Santa Caterina d’Alessandria, che viene immortalata prima dal Lotto, nelle “Nozze mistiche di Santa Caterina con i santi e Niccolò Bonghi”, e poi dal Moroni nello “Sposalizio mistico di Santa Caterina”. Due tele molto diverse, che hanno un modo altrettanto differente di rappresentare la nostra protagonista.
Dall’interpretazione lottesca capiamo bene la sua origine familiare; quella moroniana, invece, ci fa luce sul suo martirio.
Cominciamo con la sua storia. Chi era Caterina? Ebbene, questa fanciulla (da quel che si racconta) era di nobile stirpe, e proveniva dalla terra d’Egitto. Come l’artista veneziano ci sottolinea, era una sorta di “principessa”… guardate a tutti quei gioielli che le circondano il volto elegante, oppure a quelle vesti che, nel loro essere alla moda del Cinquecento, ci restituiscono grande sfarzo e ricchezza. Come datazione, dobbiamo collocarci nel IV secolo (e non certo ai tempi dell’ambientazione del Lotto!), quando la santa stupiva i suoi contemporanei con la sua immensa saggezza. Proprio così: Santa Caterina è nota per essere stata una donna di incredibile acume e finezza intellettuale, che qualcuno vuole ricondurre alla leggendaria Ipazia, ossia a quella “scienziata” dalle incredibili doti matematiche, vissuta in quel periodo proprio ad Alessandria.
Va da sé, che non la dobbiamo confondere con un’altra santa sua omonima: Caterina da Siena. Anche lei fu una grandissima figura del mondo religioso, ma nota e ricordata per ben altre azioni virtuose.
Torniamo alla nostra Caterina, e cerchiamo di capire come mai sia così ricorrente nell’iconografia cristiana. Ebbene, ella rappresenta proprio l’emblema della donna perfetta: colta, nobile, vergine e martire. Una figura ineccepibile sotto ogni punto di vista, almeno secondo la dottrina della Chiesa.
Abbandoniamo il dipinto del Lotto, per spostarci su quello del Moroni, che ci suggerisce il suo terribile martirio. Se lo guardate attentamente, vedrete in basso a sinistra un pezzetto di una ruota dentata. Essa ricorda come avvenne la sua tragica fine: sotto le pressioni che le volevano far abbandonare la sua fede cristiana, costringendola al matrimonio con uno dei suoi tanti pretendenti, ella rifiutò, proclamando la sua determinazione a essere “sposa di Cristo”. Da questo rigetto, ne derivò il martirio, che si sarebbe dovuto compiere stritolandola da due ruote dentate. Tuttavia, poco prima che il peggio avvenisse, un angelo giunse a spezzare le ruote. Caterina non fu però risparmiata, ma uccisa dal colpo mortale di una spada…
La sua tragica fine è ricordata nel dipinto del Moroni (e quasi in ogni sua raffigurazione) proprio con quel frammento di ruota dentata, rotta dall’intervento divino. Fate tesoro di questo suo attributo, perché è certo quello più ricorrente e utile per identificarla.
Ultimo dettaglio, ma forse il più importante, è come mai la si raffiguri sempre nell’atto di ricevere il suggello di matrimonio con Gesù Bambino. Avendo poco fa citato la sua volontà di divenire “sposa di Cristo”, il motivo dovrebbe giungere semplice. Le nozze sono “nozze mistiche” (e non nozze vere e proprie)… rievocarle con un anello donatole dal Bambinello è il modo migliore per rendere il loro carattere spirituale.
Possiamo passare alla seconda donna di cui vogliamo scoprire qualcosa di più. La levatrice incredula Salomè. Purtroppo, non ci è data anche la fortuna di poterla ammirare direttamente nelle quattro tele della mostra natalizia in questione. Per farne conoscenza a tu per tu, dovremmo fare una gita alla Pinacoteca bresciana Tosio Martinengo. È lì che è conservata un’opera del Moretto che ci interessa molto: la Natività con i pastori, san Girolamo e un frate girolimino. Si tratta di un capolavoro dell’artista, in cui esprime a pieno la sua bravura nel rendere la naturalezza delle figure umana e i valori tattili che tanto lo caratterizzavano. Si potrebbe passare ore a perdere lo sguardo tra i panni puliti (e stirati!) ammassati nella cesta in primo piano, oppure seguire quella pianta che si arrampica alle spalle della Madonna….
Tuttavia, il personaggio che ci interessa è quella donna che aiuta la Vergine a fare il primo bagnetto a Gesù Bambino. Ecco a voi il “San Tommaso al femminile”, ossia Salomè, la levatrice che non credette alle sue orecchie.
Nei quattro Vangeli biblici non c’è traccia di questa figura; per poterne scoprire la storia, occorre leggere il Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, oppure la Leggenda Aurea. Non sono questi dei testi a noi molto familiari; nel mondo bizantino, però, ebbero un grandissimo successo.
L’aneddoto su Salomè la racconta come una delle due delle levatrici che aiutarono Maria a far nascere il bimbo, accompagnate nella capanna da san Giuseppe. Tuttavia, mentre l’altra credette subito al miracolo della nascita di Gesù da una Vergine, questa rimase scettica e volle “vedere lei stessa”. Il suo comportamento non si distacca molto da quello di San Tommaso, in quanto apostolo che ebbe qualche dubbio prima di convincersi della resurrezione di Cristo.
Pensate che, per la sua poca fede, Salomè si ritrovò la mano inaridita, e che solo il contatto con il Bambinello risanò. Infatti, nella tela sopra citata, la vediamo mostrare orgogliosamente al pubblico la sua “mano miracolata”, volendo sottolineare il prodigio avvenuto. Secondo questo racconto, dunque, Salomé diventerebbe la prima a essere stata protagonista di un miracolo compiuto da Gesù; e proprio a poche ore dalla sua nascita, per giunta.
Adesso conoscete anche voi l’identità di questa misteriosa figura femminile, che spesso si ritrova nelle natività, ma mai si riesce a comprendere fino in fondo. La sua fortuna in Occidente (la conoscenza popolare lo dimostra) è stata un po’ scadente; molto meglio è andata nell’universo bizantino, in cui era ben nota. Ed è un vero peccato: si tratta di un’altro personaggio dalla storia curiosa, in cui capita di imbattersi anche senza saperlo.
Le presentazioni sono ormai concluse: Santa Caterina d’Alessandria e Salomè non hanno più segreti per voi attenti lettori. Non resta che far tesoro di queste nuove scoperte, e ricordarsi di salutarle come conoscenze di vecchia data qualora le incontriate a spasso per qualche museo.
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