È tempo di cambiare. È tempo di mettere da parte l’immagine di museo come “tempio inviolabile di opere d’arte”, e pensare a una nuova veste. Il museo adatto alla nostra contemporaneità può essere definito come un “museo vivente”: è a questo nuovo ideale che il mio lavoro quotidiano vuole tendere.
… ma che cos’è, dunque, questo museo vivente?
Partiamo dalla sua definizione originale, che viene dalla mente di colei che per prima (e già negli anni ’50 del secolo scorso!) si accorse della necessità di cambiamento: Fernanda Wittgens. La direttrice di Brera, nel parlare del suo progetto di rivoluzione del museo, così descriveva il museo vivente:
- Un organismo vivo, in stretto rapporto con la società, che si fa strumento didattico rivolto a tutti i visitatori, indipendentemente dalla loro cultura.
- Un luogo ricco di iniziative che non si limitano all’esposizione.
- Un luogo che cresce e muta, seguendo i nuovi sviluppi della società e della storia dell’arte.
Questo ci basta, per capire che si tratta di qualcosa che va oltre la tradizionale idea di museo che molti di noi hanno sempre imparato. Visto così, viene quasi voglia di farci un giretto per vedere se davvero c’è qualcosa di nuovo…
La definizione di Fernanda è solo l’inizio. La storia del museo vivente è ancora tutta da scrivere: il cambiamento è nelle nostre mani. A noi, giovani, un po’ manager e un po’ artisti (…perché per gestire un museo ci vogliono entrambe le cose!), spetta costruire questo nuovo laboratorio di cultura. Come? Ispirandoci a quelle tante qualità che ognuno vorrebbe ritrovare nel suo museo. Qui trovate quelle che mi frullano per la testa…
Il visitatore è il centro del museo
… non la collezione di opere, ma il visitatore. Questo deve essere il vero cuore pulsante della strategia di management del museo. Tutti gli sforzi devono orientarsi a far sentire il pubblico il vero protagonista dell’esperienza. È lui che si fa attore, e agisce in prima persona, dialogando con gli spunti messi disposizione dal museo.
Ascoltare… e far vedere di aver ascoltato
Il museo deve porgere quotidianamente il suo orecchio verso le persone che hanno qualcosa da dire, e lasciare che esprimano i loro pensieri. Tuttavia, questo non è abbastanza.
Ispirandosi all’ascolto visibile della Pinacoteca di Brera, occorre andare oltre l’ascolto canonico delle ricerche di marketing, che si limita a prendere atto in silenzio di quanto raccolto. I visitatori devono poter essere sicuri di essere stati davvero ascoltati: ricevuto il suggerimento, il museo lo deve mettere in pratica. È così che molte idee suggerite dal pubblico diventano realtà, contribuendo al miglioramento dell’offerta e dei servizi, sempre più disegnati su misura per coloro che ne usufruiscono.
Le opere d’arte sono oggetti da utilizzare per crescere
Basta con tutte quelle vetrine e barriere che fanno da ostacolo insormontabile tra noi e i dipinti! Le opere dei grandi maestri non sono fatte per essere venerate da lontano come fossero simulacri, ma per essere utili alla comunità. Pur con i dovuti accorgimenti, è possibile ridurre le distanze, mettendo l’arte al servizio dei visitatori, che possono finalmente guardare da vicino tutti i dettagli, fino, quasi, a toccarli con mano. È solo così che si può entrare nei quadri, divenendone i protagonisti.
Mille motivi per andare al museo… mille possibilità per vivere la propria esperienza di visita
C’è chi va al museo perché vuole imparare qualcosa di nuovo. C’è, invece, chi ci va per rilassarsi, o per passare del tempo con la propria famiglia. C’è chi si rifugia tra le sale, in cerca di un luogo sicuro e lontano dal tran tran cittadino; c’è chi ha bisogno di dare una ripassata agli argomenti della verifica di arte del giorno dopo.
Per quanto possano essere diverse le motivazioni che ci inducono a bussare alla porta del museo, non ce n’è una più onorevole dell’altra. Ognuno ha il diritto di entrare con il proprio obiettivo in testa, ed è giusto che trovi occasioni e materiali adatti a raggiungerlo.
A scuola, si è obbligati a imparare. Al museo, invece, c’è piena libertà di vivere una personalissima esperienza, a seconda di ciò di cui si ha bisogno. Dunque, le voci dei curatori non si devono imporre, ma devono proporre iniziative e interpretazioni che lascino al pubblico la libertà di organizzare da sé la propria visita.
Tanti mattoni diversi con cui co-costruire nuova conoscenza
Nel museo, la conoscenza non si deve trovare già pronta e servita su un piatto da portata. La conoscenza va costruita, o meglio, co-costruita, in un processo di interpretazione e scoperta che coinvolge tanto l’istituto, quanto il visitatore stesso.
Quello che si crea, in questo modo, è un dialogo a più voci, che hanno lingue e storie alle spalle tra loro molto diverse. Ci sarà il curatore, dall’alto del suo piedistallo sapiente, a dirigere il tutto… ma non solo. E non è neppure detto che il suo parere non possa essere messo in discussione. Accanto all’esperienza degli studiosi, non deve mancare l’umile pensiero del cittadino ingenuo, e neppure la prospettiva di chi viene dal paese delle piramidi, e che ha tutta una cultura e una religione diversa. E i bambini? Anche loro, con la curiosità instancabile che li caratterizza, possono portare il loro contributo.
Ne risulta un patrimonio di conoscenze in continuo sviluppo, che si nutre dei contributi portati dalle persone, e che soddisfa a sua volta le loro domande. È questo il vero mettere in pratica la co-costruzione di cultura, che fa sì che al museo non si vada solo per consumare cultura, ma anche per produrla in prima persona.
Il museo è un ente al servizio della comunità cittadina
Il museo, da luogo di raccolta delle testimonianze passate dell’umanità, deve continuare a collezionare nuovi mattoni della nostra cultura. Questo significa accogliere prima di tutto nuove opere d’arte, certo… ma non solo. Significa anche far sì che i visitatori possano lasciare tracce del loro passaggio, che si aggiungano a quanto fatto da chi è venuto prima. La tecnologia, oggi, permette a tutti di creare contenuti con una facilità impensabile fino a pochi anni fa. Fotografie, messaggi, disegni: piccole opere che possono eternizzare le visite fatte da migliaia di persone, e accrescere il patrimonio del museo.
Il museo si apre alla città e ai i suoi abitanti
Che possa piacere o no, il museo si trova ubicato in un certo quartiere metropolitano, e ha un entourage di abitanti dei dintorni ben definito. Al posto che guardare sempre lontano (i turisti non hanno bisogno di tanti complimenti per venire a vedere un Caravaggio!), bisogna preoccuparsi di chi è vicino. Dei cittadini, si intende. Per loro, la porta dovrebbe essere sempre aperta (…anche un po’ più aperta di quanto non sia per gli stranieri!). Per loro, occorre pensare a iniziative che si intreccino con gli eventi che interessano la città, e che li convincano a fare ritorno di frequente. L’idea deve esser quella di rendere il museo un luogo di frequentazione quasi quotidiana: non molto diverso da un parco. Aprire una bella caffetteria con servizio al tavolo (e aperitivi!) può persino convincere chi risponde (di solito) solo allo stomaco a farsi anche un giretto tra le sale per digerire…
Didascalie per tutti i gusti
Quante volte ci si trova davanti a un bel quadro di cui non si conosce nulla? Quante volte si cerca attorno alla cornice una qualche targhetta che ci illumini almeno sul nome dell’autore? Molto spesso. E, altrettanto spesso, la nostra curiosità rimane insoddisfatta…
L’importanza delle didascalie è imprescindibile in un museo aperto al pubblico di ogni livello sociale e culturale. Chi viene ad ammirare le opere non è necessariamente un esperto… pretendere che si conosca a menadito ogni titolo, artista e caratteristiche stilistiche è una follia! Dunque, serve che qualcuno si curi di rendere parlanti quelle tele che, altrimenti, rimangono mute e appese a riempire a una parete. Perché i visitatori possano utilizzare i dipinti che osservano per arricchire il loro bagaglio, hanno bisogno di leggere qualche parola di guida.
Ciò che è inutile al pari di non avere neanche una minima didascalia è averne una troppo lunga. O troppo professionale. O troppo banale. A chi verrebbe voglia di leggere un trattato di pittura su due piedi?
Anche in questo caso, ciascuno ha necessità e gusti diversi in materia di didascalie, che meritano di trovare tutti soddisfazione. Un design intelligente deve prevedere testi scientifici tradizionali (ma chiari!) per gli interessati, accanto a interpretazioni di autori di campi diversi, che forniscano il loro punto di vista originale. E non devono mancare neppure le didascalie dedicate a famiglie e bambini: targhette colorate, ricche di domande e spunti per imparare divertendosi.
Orari flessibili, che si adattano alla routine della città
È un dato di fatto: i Milanesi, al museo, non hanno tempo di andarci al mattino. Di mattina si lavora (e anche di primo pomeriggio)… fino a quando non si timbra il cartellino di uscita, è difficile che si veda qualche cittadino tra le sale. E questo vale per gli adulti, ma anche per tutti i bambini e ragazzi che ancora frequentano i banchi di scuola. A meno che non si sia in gita, il museo non è un posto da visitare prima dell’ora di merenda.
Eppure, capita spesso di controllare gli orari di apertura dei musei, e vedere quel fatidico “ultimo ingresso” alle 17 (o, peggio ancora, alle 16)! È facile intuire che molti cittadini, non avendo il dono dell’ubiquità, rinunciano ad andare al museo, preferendo il solito aperitivo…
Certo, rimangono il sabato e la domenica da passare (finalmente liberi da scuola e lavoro) al museo. Se, però, tutti facessero questo ragionamento, si finirebbe per avere code lunghissime e sale così affollate, da indurre ancora una volta a sostituire alla visita un film al cinema o una merenda in caffetteria.
Tutto questo per dire che, se il museo non vuole perdersi tutte queste mancate occasioni di incontro con il pubblico cittadino, deve diventare un pochino più flessibile. Ci si deve sforzare a posticipare almeno di un’oretta la chiusura, arrivando magari anche a qualche apertura speciale notturna. Non più 9-18, ma 10,30-20… i custodi dormono di più al mattino, i visitatori rimangono di più al museo, prendendo lì anche l’aperitivo.
Lo shop è il luogo privilegiato per l’apprendimento
… e prima di tornare a casa, guai a chi si dimentica di fare un giro al negozio! Lo shop deve diventare una tappa obbligata; non necessariamente per convincere a comprare, bensì per indurre a imparare. Imparare ancora di più, che davanti alle opere in mostra.
Nel momento in cui ci troviamo in un negozio (di qualunque tipo), la nostra capacità di giudizio si risveglia dal torpore, e si attiva per decidere se “vale la pena, o meno, l’affare”. Trovarsi davanti una stampa di delle opere appena viste, oppure poter scegliere in quale formato (… tazza, stampa, o borsa di tela?!) portarsi via come souvenir il quadro che più ci è piaciuto, è un modo molto efficace per apprendere. Così facendo, infatti, si assume un inaspettato atteggiamento critico che concentra l’attenzione sull’oggetto di potenziale acquisto. Basta che il meccanismo si attivi, e la conoscenza si arricchisce sorprendentemente in fretta. E la soddisfazione segue rapida, senza che nemmeno sia necessario comprare…
Si capisce come avere un museum shop a sé, con un assortimento ampio e diversificato, è quanto di più desiderabile per concludere la visita in bellezza. Mentre nel museo ci si era limitati a guardare (e non toccare), qui si può davvero prendere in mano l’opera d’arte. E l’informazione tattile e materiale vale più di tante occhiate fatte da lontano.
In sintesi: il museo come luogo per il tempo impegnato
Ora che avete letto i miei pensieri su come si può tradurre il museo vivente in concreto, apprezzerete di più l’espressione tanto celebre di Franco Russoli (un altro storico direttore di Brera). Si tratta del museo visto come luogo in cui passare il proprio tempo… impegnato. Proprio così: chiunque ne superi la soglia, non si ritroverà a trascorrere ore vuote di significato, bensì esperienze formative, che siano utili tanto al protagonista, quanto al museo e alla comunità di cui egli fa parte.
… ed ecco il mio manifesto per il museo del futuro. Con questo in mente, mi adopero ogni giorno per rendere vivo, accessibile e apprezzabile il nostro immenso patrimonio culturale italiano.