Il terzo giro in bici della Risolartista in direzione di Torricella… terminò davvero tra i viottoli di Torricella. Se le prime avventure erano finite nei rovi di more, la terza riuscì a giungere fino a quel curioso paesino.
Definirlo paesino, in realtà, è forse eccessivo. Torricella è parola ricorrente nei discorsi in riva al Trasimeno, ma più come punto di passaggio, che località di villeggiatura…
Tutti la conoscono, ma nessuno ci è mai stato davvero. A parte gli abitanti dei dintorni, ovviamente. Loro conoscono ogni posticino pittoresco che si nasconde dietro un’apparenza di banalità.
Torricella, per il viandante medio, è quel grumolo di casette colorate e un po’ decadenti, attraversate dal famoso passaggio a livello. Quest’ultimo, sì, è ben noto, ed è noto quale punto di sosta (quasi) obbligata per tutte quelle automobili che devono passare di lì. È facile immaginare che, giusto quando si ha bisogno di fare in fretta, ecco la sbarra a righe bianche e rosse calarsi giù lentamente, bloccando il traffico da entrambi i lati. Deve passare il treno…
Il treno arriva pian pianino (non è esattamente un Frecciarossa), scorre davanti al primo automobilista della fila (che, nel frattempo, è diventata bella lunga), e poi se ne va. Ancora qualche minuto, e finalmente la sbarra a righe si risolleva, liberando le macchine da quella sofferta prigionia.
Ecco: questa è l’immagine di Torricella che rimane solitamente impressa nella mente della gente. Un paesino di passaggio, in cui si spera di passare, e non di dover sostare…
È chiaro che quegli interminabili minuti di coda al passaggio a livello non possono essere considerati una “visita” a Torricella fatta come si deve. Questo è vero per il viandante comune, quanto era vero anche per la Risolartista… fino a quel suo terzo giro in bici in questione. Più e più volte il Babbo Antonello si era dovuto fermare per lasciar scorrere il trenino sui binari; tuttavia, mai ne avevano approfittato per scoprire cosa si nascondeva lì attorno.
Motivo per cui, quando finalmente la biciclettina bianca fragolosa riuscì a giungere tra le vie di Torricella, l’artista decise di appoggiarla a una parete, e andare a esplorare i dintorni.
Erano ormai le sette di sera passate, e il sole dorato dipingeva le pareti di una bella luce calda, quasi orizzontale, che procedeva dai campi coltivati fino al mucchio di casette del paesino.
La Risolartista era davvero curiosa di incontrare qualche abitante locale: tutto era così quieto in apparenza, così solitario e quasi abbandonato…
Proprio a due passi dal muro a cui aveva appoggiato la biciclettina, notò la vetrina vuota di quello che doveva essere stato un negozio, e che aveva appeso un evidente cartello “Vendesi”. Un ulteriore dettaglio che aggiungeva senso di decadenza e desolazione a quei viottoli vuoti e silenziosi.
Leccino (che era venuto anche quel giorno con lei) gironzolava attorno, cercando di ricordare l’ultima volta in cui era stato a Torricella: doveva essere stato un bel po’ di tempo prima… se la ricordava più abitata.
Procedendo lì vicino, cominciarono a schiudersi i primi segni di vita. Doveva essere una specie di casa colonica, con tanto di giardinetto e vegetazione che si arrampicava su per le pareti. Aveva un che di deliziosamente pittoresco, per non dire incantato: sembrava una di quelle grandi ville in cui incontrare spiriti di abitanti passati, che non se n’erano mai davvero andati…
Il tempo lì attorno si era fermato ad almeno un secolo prima. Tuttavia, il cortiletto della casa era popolato da persone in carne e ossa. Ed erano anche un bel numero.
La Risolartista si fermò, cercando di capire chi potessero essere. Spiriti non erano; piuttosto, sembravano un folto gruppo di scout, tutti con il loro fazzolettino al collo. Dovevano essere lì come ospiti di quella che, dunque, era davvero una casa colonica… scout all’avventura, insomma. Sicuramente, a starsene a dormire lì dentro, qualche avventura l’avrebbero vissuta…
Senza dare troppo nell’occhio, la ragazzina e il Bassetto si allontanarono, non volendo rompere l’incanto di quella scena di ragazzi immersi in un tempo lontano. Era troppo bella per essere infranta: valeva una pagina di un romanzo ambientato anni e anni fa.
Un’altra strada si apriva allora dinnanzi ai due amici esploratori. Vuota. Possibile che non ci fosse davvero nessuno a Torricella? Possibile che fosse davvero un paesello di un’altra epoca, per non dire di un altro mondo?!
Poco dopo, l’occhio della Risolartista fu colpito da un cartello che recava il nome di un viottolo in salita. “Via del Poggetto”, diceva. Se quel viottolo era degno di avere un nome, forse qualcuno ci poteva anche abitare…
Tanto valeva fare quel tentativo di scoperta.
Dopo i primi passi arrampicati tra le casupole variopinte, cominciò a sentirsi un certo suono. Era ciò che si potrebbe definire un cicaleccio: a metà tra il verso delle cicale, e le chiacchiere di paese. In effetti, le cicale che si agitavano nei campi poco lontani si sentivano eccome. Erano così allegre, da raggiungere con i loro canti persino quel viottolo del caseggiato. Chiamandosi “Via del Poggetto”, percepire un’atmosfera campestre (da poggetto, appunto) era adeguato all’appellativo.
Tuttavia, non erano solo le cicale a comporre quel curioso cicaleccio. C’era anche dell’altro. Intanto, c’era una voce ben impostata, seria e professionale quanto bastava. Era la giornalista del TG, che leggeva, con quell’inconfondibile tono inespressivo e asettico, le notizie del giorno. In particolare, stava annunciando che l’indomani il Signor Mattarella sarebbe entrato nel suo Semestre Bianco…
La Risolartista (che aveva da poco studiato un librone enorme di Diritto Pubblico), conosceva bene il termine. A sentire quella notizia, ripensò al suo professore (che, tra l’altro, era giusto un perugino!), e alla lezione sul suddetto Semestre Bianco.
Se simili notizie “nazionali” erano in grado di arrivare anche a Torricella, allora non era un paese completamente di un altro tempo. Qualche forma di vita contemporanea ci doveva essere.
E, in effetti, c’era. Ed era anche alquanto pittoresca, per giunta. Non era fatta di artisti riconosciuti come tali, ma che lo erano (o lo erano stati) nell’animo.
Proseguendo per via del Poggetto, i due amici ebbero l’occasione di scoprire la terza componente del cicaleccio, ossia gli abitanti del luogo. Avevano tutti almeno tre quarti di secolo alle spalle, e una spiccata voglia di parlottare da un balconcino all’altro della via. C’era chi era seduto al tavolino appena fuori dalla porta; chi appoggiato alla parete, e chi in casa, più concentrato sulla giornalista del TG, che sulle chiacchiere dei vicini.
Certo, di vita a Torricella ce n’era: bastava saperla trovare.
Probabilmente, erano gli abitanti stessi a non volersi far vedere. Il motivo è tutt’oggi ignoto; sarà riconducibile al loro essere spiriti etruschi (il che vuol dire molto pittoreschi).
Quando la Risolartista comparve su per Via del Poggetto, il cicaleccio dei vecchietti si dirottò immediatamente sulla curiosa visitatrice. Erano stupiti dal vedere qualcuno, quasi inquietati da quella presenza che era giunta a interrompere la loro abitudinaria chiacchierata serale. Tuttavia, nessuno si avventurò a parlarle, né a mandarla via: era pur sempre uno spiritello pittorescamente etrusco anche lei. In fondo, faceva parte della cerchia…
Così, con i commentini degli abitanti che saltellavano da un tavolino all’altro, l’artista ebbe modo di godersi i colori e l’atmosfera di quella curiosa Via del Poggetto. Ogni casetta, ogni ingresso, ogni finestra, era un piccolo capolavoro di assemblaggio di piante, vasetti e oggettini vari. I proprietari, come già accennato, se non erano artisti espliciti, lo erano nel profondo. Altrimenti non sarebbero mai stati in grado di comporre simili tavolozze di colori e armamentari, che avevano del kitsch, quanto del pittoresco.
La prima casetta, ad esempio, poteva essere benissimo la dimora di una fattucchiera dei racconti fiabeschi. Arancioni le pareti, con una profusione di vasi di coccio di ogni forma e dimensione, tutti popolati da piante grasse e gerani rosa vivo. Una scaletta di dieci gradini al massimo conduceva alla soglia. O, meglio, conduceva a un balconcino in cui si intravvedeva quella che (forse) era la soglia. Tanto era pieno di oggetti e carabattole, che riuscire a passare e infilarsi in casa sarebbe stato arduo anche per un ladro! La proprietaria di casa, evidentemente, aveva trasformato l’ingresso in un secondo ripostiglio all’aria aperta.
Un ripostiglio assemblato ad arte, però; un ripostiglio adatto alla casa di una fattucchiera pittoresca. Giusto per citare qualche componente, c’era un ombrellone a righe gialle, rosa e arancioni; poi, una serie di formelle smaltate appese qua e là, come fossero amuleti protettivi. E c’era anche un bel ventilatore, lasciato lì forse nella speranza che potesse rinfrescare durante un’ipotetica sessione di abbronzatura…
Quel che più contribuiva a rendere il tutto curioso, però, era ciò che la Risolartista intuiva ci fosse al di là della soglia. Intuizione resa possibile dal fatto che una porta vera e propria sembrava misteriosamente assente. Al suo posto c’era una parete di fitte catenelle di perline, molto simili a quelle delle macellerie di una volta. Fitte, ma non abbastanza da impedire di sentire e intravvedere qualcosa dell’interno.
La voce della giornalista sentita all’inizio proveniva proprio da lì: a pochi metri dalla porta (senza porta) d’ingresso ci doveva essere un televisore. Tirando a indovinare, doveva trattarsi di uno di quei modelli così vecchi da essere ancora spessi ben più di qualche centimetro…
Per concludere il tutto, la fattucchiera proprietaria della curiosa casetta era lì in vedetta. Lì, giusto giusto dietro le catenelle, con un orecchio teso (forse) verso la TV, e gli occhi ben puntati sulla straniera visitatrice e il suo amico cagnolino. Credendo di non essere vista, si scambiava di tanto in tanto commentini di inquietudine con quello che doveva essere il marito, situato poco più all’interno.
Credeva di non essere vista.
Credeva.
L’occhio attento dell’artista, però, non si lasciava sfuggire nulla. Catenelle ondeggianti comprese…
Se quella era la prima casa, potete solo immaginarvi come dovesse essere il resto: c’era abbastanza fauna pittoresca da tornare più e più volte in visita a curiosare qua e là.
Ed ecco, dunque, la vera Torricella. Una Torricella abitata, parlante e più che vivente. Una Torricella che sapeva tenere ben al sicuro il suo vero spirito etrusco. Una Torricella che, solo rimanendoci un po’ più che per un passaggio, si poteva scoprire e apprezzare…
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