Era quello l’ultimo venerdì in cui i contadini esponevano le loro cassette in bella mostra al Mercato di Porta Romana. Era quello l’ultimo giorno in cui poter fare scorte di colori saporiti, prima della pausa estiva di agosto. Poi, per tutto il resto del mese vacanziero per eccellenza, il portone giallo della Via Friuli (in cui stava appunto il Mercato), sarebbe rimasto chiuso.
La Risolartista, affamata di delizie variopinte più che mai, non poteva che godersi il momento del suo ultimo Mercato del Venerdì…
Quando il sole del pomeriggio era orma un po’ meno caldo (“fresco” è un aggettivo che non rientra in nessun pomeriggio di inizio agosto), l’artista e il suo fedele Artemisio si avventurarono con il naso fuori di casa, montando sulla loro biciclettina grigio pastello. Le borse (vuote) comparivano numerose nel cestino, in attesa di essere riempite ben bene. Quel giorno, era previsto uno shopping sfrenato di colori…
In fin dei conti, se c’è chi, prima di fare le valigie per il mare, va a fare scorta di costumi e vestiti leggeri, ci deve essere anche chi si occupa di riempire la dispensa di sapori estivi, che possano ispirare nuove creazioni vacanziere! La Risolartista apparteneva proprio a questa seconda (pittoresca) categoria…
Pochi minuti di pedalata, e il cancello giallo di Via Friuli comparve alla vista dei due amici. Aperto, per fortuna.
Appena entrati, il profumo di fritto misto di pesce li accolse a “pinne aperte”, invitandoli ad avvicinarsi. Erano i pescatori di Portofino, che, come ormai avevano preso l’abitudine di fare, stavano cucinando la loro frittura espressa per i clienti. L’odorino che si sentiva era qualcosa di straordinario: uno di quegli aromi che stuzzicano i ricordi, ancor più dell’appetito. Quell’odorino di totani fritti, infatti, faceva viaggiare la Risolartista indietro nel tempo, nelle sue estati passate con i nonni ad Arma di Taggia.
In quelle sere marittime, infatti, bastava passeggiare sul lungomare davanti a un qualsiasi ristorante di pesce, per sentire esattamente quel profumo. Non era “fritto”, era molto di più. Era un misto di sentori di mare, salsedine, alghe e olio buono, che scoppiettavano allegri in una cucina senza dubbio vicina.
E tutto ciò si riproponeva identico nel cortiletto del Mercato di Porta Romana. Si riproponeva davanti agli occhi (e sotto il naso) della Risolartista e del suo Bassotto.
Non era ora di cena, però… al fritto misto espresso avrebbero dovuto rinunciare. Il suo odorino, almeno, li consolava, sodisfando il loro olfatto buongustaio.
La prima tappa di acquisti era proprio il banchetto dei pescatori, giunti in giornata direttamente dalla Riviera. Tutto il pesce freschissimo che esibivano sulle loro casse di polistirolo bianco era stato pescato la notte precedente, poco al largo di Portofino. Dunque, era un pesce di lusso, che proveniva dal borgo più pittoresco della Liguria di Levante. Un pesce pittoresco, adatto al palato pittoresco della Risolartista.
Quel giorno, le reti avevano tirato su una bella varietà di bestioline. C’erano branzini, orate, gamberi e calamari a volontà.
L’occhio d’artista, però, fu catturato da due esemplari particolari…
Il primo (o meglio, i primi, visto che erano due parenti stretti) erano una buffa coppia di totani piuttosto grossi, dallo sguardo ancora vispo. Sembravano quasi osservare la cliente appena giunta, sperando in un suo prossimo acquisto. Quale onore sarebbe stato per loro, finire sulla sua tavola imbandita di colori!
Detto fatto, il primo ordine fu esplicitato, seguito presto da un altro pescione. Quest’ultimo era il signor pesce serra: una novità per la Risolartista. Simile a un branzino, ma con meno spine (forse…), come le era stato descritto. Valeva la pena di provare quella nuova varietà…
Scelto il pesce del giorno, si chiese gentilmente ai pescatori di “pulirlo per benino”, altrimenti la Mamma Monica si sarebbe fatta risentire…!
Mentre avveniva tale pulizia, i due amici avevano una lunga lista di spese da continuare…
Entrati nello spazio coperto, si diressero di filato dal loro amico apicoltore: il signor Lorenzo. Come ogni venerdì, era lì seduto sul suo sgabellino, ad aspettare l’arrivo di qualche cliente. Come ogni venerdì, il suo aspetto ricordava quello di un orsetto lavatore goloso di miele. Quella era l’immagine che la mente della Risolartista collegava al suo fornitore di miele di fiducia.
Tenete presente che il signor Lorenzo era un apicoltore tutto particolare: nella sua vita passata diceva di aver lavorato con i computer, finché, un bel giorno, aveva deciso di cambiare, passando a fare ciò che più lo divertiva. Ossia… il miele!
E meno male, aggiungerei, che si era messo a fare il miele. Per quanto anni prima potesse aver lavorato con aggeggi tecnologici, non era loro molto simpatico. Le volte in cui il suo bancomat senza fili funzionava erano rare quanto il polline fresco di raccolta (che è rarissimo!).
Il miele, invece, gli veniva proprio bene. Ne produceva di curiosissime varietà, alcune delle quali erano pittorescamente degne del palato della Risolartista. Dal tarassaco, all’erba medica, passando per il corbezzolo e il girasole.
Il preferito della ragazzina rimaneva il tarassaco; tuttavia, non era quello il periodo in cui trovarlo. La scelta ricadde su un bel barattolo da mezzo chilo di acacia, smielata giusto giusto qualche giorno prima. Il “barattolo forte” dell’acquisto, però, era il polline.
Si trattava di polline in granelli, che, per chi non lo conoscesse, è uno di quei super food deliziosi, quanto ricchi di proprietà. L’artista ne metteva ogni mattina un bel cucchiaio nel suo risolatte: colore giallo e gusto di fiori a volontà!
Il Signor Lorenzo, dunque, nel suo essere fornitore fedele di miele e di polline, contribuiva con ben due prodotti alla colazione d’artista: un onore, per un umile apicoltore.
Lasciato l’angolo più dolce del mercato, i due amici proseguirono verso la “Signora delle bufaline”. Questo era il nome con cui chiamavano la venditrice di prodotti di bufala, che aveva un bell’agriturismo a due passi dalla città, sulle rive dell’Adda.
Era un banchetto insolito, il suo. Aveva ogni tipo di derivato di bufala che si potesse immaginare. Dal formaggio, alla carne, senza dimenticare vari piatti pronti. Tra cui i raviolini con ricotta di bufala e spinaci: la scelta immediata della Risolartista. Già in passato ne aveva gustato il ripieno, che non solo aveva un saporino inconfondibile di latte di bufala (altro che la banale ricotta di mucca!), ma era anche di un bel verdolino invitante. Avrebbero fatto da piatto principale del pranzo della domenica vicina…
Ed ecco, poi, la Signora Grazia. La “Demetra” della situazione, come la potremmo definire. Ora vi spiego anche il perché…
Demetra era la dea romana del grano, dei raccolti e, dunque, anche del pane. Veneratissima ai tempi, in quanto, senza la sua benevolenza, il popolo sarebbe rimasto tutto l’anno a stecchetto.
La Signora Grazia era (ed è tutt’ora) l’unica e inimitabile venditrice del pane del Signor Davide Longoni nei mercati.
Qualsiasi mercato comprendesse anche la partecipazione del suddetto panificatore, aveva automaticamente lei dietro al banchetto. La Risolartista l’aveva incontrata più e più volte, gironzolando tra un mercato contadino e l’altro. Sempre lei, sempre sorridente, sempre pronta a offrirle qualcosina da assaggiare.
Era stata proprio la Signora Grazia, in un mercato del venerdì di qualche anno prima, a far scoprire all’artista il pane con il lievito madre del Signor Longoni. Da allora, un mondo di bontà e di arte della panificazione le si era aperto davanti, attirandola sempre più a sé. Se all’inizio la famiglia comprava solo un pezzetto di pagnotta ogni tanto, si era poi passati a “chili” (letteralmente) di pane di segale e di chissà quale altro cereale antico, che venivano prenotati e acquistati ogni settimana. Volendo aggiungere un altro dettaglio, la Risolartista, da fedele adepta della cerchia del lievito madre, aveva cominciato anche lei ad allevarlo (vi ricordo la sua Trementina domestica), e a usarlo per produrre le sue proprie creazioni di pane.
Quel venerdì, dalla Signora Grazia presero la solita cassetta di segale, e un pezzo dello speciale di stagione: il pane con pomodorini secchi e origano. Inoltre, non si fecero mancare neppure una confezione di tagliatelle di farro, fatte proprio con il farro monococco del Signor Longoni. Più “km zero” di quelle tagliatelle non si poteva: il farro proveniva dai campi di Chiaravalle (di proprietà del Signor Longoni), situati a neanche un quarto d’ora di bici dalla Via Cassano d’Adda!
Con quella buona ventina di minuti di chiacchiere e acquisti dalla Signora Grazia, si era accidentalmente formata dietro una cospicua fila di clienti accaldati e impazienti. Come al solito…
Ogni volta che la Signora Grazia vedeva la sua amica (e affezionatissima cliente) Risolartista, non riusciva a trattenersi, e cominciava a parlare a non finire. Si dimenticava persino di avere altri clienti! Poco male: era tutto merito suo, se il lievito madre era entrato ingombrantemente nel vocabolario degli abitanti di Via Cassano d’Adda…
Salutata anche la suddetta venditrice di pane, l’artista sgattaiolò nell’altra area coperta del Mercato, preceduta dal bassotto piuttosto impaziente. Aveva caldo anche lui, poveretto!
Si trattava dell’ultimo tratto di Mercato, che conduceva poi fino all’uscita. Da sempre era quello più affollato di gente, a causa di un particolare banco di frutta e verdura, a cui anche la Risolartista non mancava mai di fermarsi. Prima, però, c’era ancora una delizia da conquistare…
In tempi non estivi (ossia da settembre a maggio), si era soliti prendere almeno un “quartino” di caciotta dal Signor Roberto, il formaggiaio del Mercato. Erano caciotte molto speciali le sue, fatte di latte crudo, caglio vegetale e insoliti aromi. Le insaporiva con il rosmarino, oppure con semi di finocchietto, peperoncino e persino con il timo. Una volta, poi, su ispirazione dell’artista, ne aveva fatta una specialissima con pomodorini secchi e origano. E, pensate un po’, l’aveva chiamata “Marinaretta” (nome inventato sempre dall’artista), in ricordo degli ingredienti della pizza alla marinara.
Insomma, il Signor Roberto formaggiaio era una personcina creativa, che amava sperimentare. D’estate, però, amava anche andarsene al pascolo con le sue mucche, su in cima agli alpeggi del Passo del Tonale. Di conseguenza, da giugno a settembre, delle sue caciottine, al Mercato, non se ne vedeva neppure l’ombra…
In quell’ultima spesa di luglio, la caciotta al rosmarino non poteva rientrare proprio nella lista (anche se ci sarebbe stata bene)!
La delizia annunciata, dunque, non era fatta di formaggio, ma di mirtilli, lavanda e miele. Non era marmellata, ma nemmeno miele vero e proprio; era ciò che la Risolartista chiamava “marMIELLata”. Si trattava di un’invenzione di un ex-banchiere, che, stufo di noiosi lavori d’ufficio, era passato a fare l’agricoltore.
Era passato a far l’agricoltore nel cuore della Brianza, a due passi da Milano, dove coltivava frutti di bosco e fragole per farne composte e succhi molto speciali. In tutti i suoi prodotti, infatti, non c’era traccia di zucchero, ma di miele! Proprio di miele: al posto delle solite ricette (che prevedevano lo zucchero), lui aveva pensato bene di unire alla frutta il miele.
Il risultato era, come è facile immaginare, un nettare zuccherino e molto aromatico… qualcosa di diverso da ogni normale marmellata. La Risolartista se ne era innamorata presto, aggiungendo a quasi ogni lista della spesa del venerdì un bel barattolo di composta di mirtilli e lavanda.
Finalmente, i due amici giunsero all’ultima tappa: il banchetto di frutta e verdura dei Signori Scotti. Malgrado i validissimi concorrenti, era quello l’angolo prediletto dallo spiritello d’artista. La colpa era, senza dubbio, di quell’arcobaleno di colori che cambiavano sfumature di settimana in settimana, inseguendo il procedere delle stagioni. Ogni venerdì era una sorpresa: chissà quali sfumature di sapori in forma di ortaggio o frutto avrebbero trovato quella volta…
L’ultima spesa dai Signori Scotti di quell’estate fu accompagnata dal commesso preferito della Risolartista: il Signor Laddi.
Proprio “Laddi”… avete letto bene. Già dal nome potete capire quanto potesse essere pittoresco il suddetto venditore. Si trattava di un buffo indiano paffutello, dalla faccia simpatica, che ricordava un topino di campagna molto goloso.
Laddi era in realtà un soprannome (che aveva tatuato sul braccio, così da non sbagliarsi); ciò che aveva scritto sulla carta d’identità doveva essere impronunciabile…
Con l’onore di essere servita dal suo caro Laddi, l’artista cominciò a enumerare gli ortaggi che desiderava mettere nel carrello: zucchine gialle e verdi, un mazzo di carote, qualche cuore di bue…
La lista era infinita, come al solito!
Poi, si passava alla frutta. Pesche noci, pesche gialle, quattro pesche saturnine, albicocche e prugne a volontà. Le ciliegie, purtroppo, erano finte, ma ci si poteva consolare con il resto…
Finita la “raccolta”, il Signor Laddi si recò come sempre alla bilancia, per pesare e insacchettare il tutto.
La spesa era completa, ed era anche il momento di salutarsi, augurando a tutti buone vacanze. Il Signor Laddi, però, aveva in serbo una sorpresa per la sua amica Risolartista. Una sorpresa che avrebbe scoperto una volta arrivata a casa, quando si sarebbe messa a togliere gli acquisti dalle borse.
Nell’insacchettare tutti gli ortaggi, infatti, il buffo indiano dal cuore d’oro aveva lasciato accidentalmente cadere insieme al resto una confezione di fiori di zucca. Era certo che la sua cliente preferita avrebbe apprezzato il pensiero…
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