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Pensieri da aspirante Museum Manager

Quando il marketing può essere utile al museo…

Avvicinare il termine “marketing” a quello di “museo” è sempre un rischio per il soggetto parlante in questione. Non si sa come mai, ma il mondo dei curatori e degli studiosi dei musei di arte è tradizionalmente avverso a tutto ciò che possa essere ricollegato al commercio. 

In realtà, una motivazione c’è. Ed è racchiusa nell’origine più antica dei musei in quanto istituzione volta alla conservazione e tutela dei tesori che li abitano. 

Tuttavia, anche i musei hanno bisogno di aggiornarsi, ed evolversi con la società che cresce e cambia aspettative ed esigenze. Tanto più, visto che il loro ruolo dovrebbe essere quello di salvaguardare il patrimonio a beneficio del pubblico. Ecco: se questo pubblico, oggi, chiede qualcosa di più di una semplice “conservazione” dietro una vetrinetta, sarebbe bene accontentarlo… 

… Accontentarlo per il bene della comunità, e per il bene di quegli stessi tesori che tanto gelosamente si vogliono custodire e rendere accessibili solo alle élites esperte.

Per riconnetterci all’astio verso il marketing, questo nasce nel momento in cui si propone al museo di cambiare il suo tradizionale orientamento: dall’oggetto (ossia la sua adorata collezione di opere), al cliente (ossia il visitatore). Basta gettare questo sassolino nello stagno del conservatorismo dei curatori, e subito parte lo tsunami pronto a travolgere il povero marketing manager neoassunto (e già praticamente licenziato!).

Questo curioso preambolo vuole presentarvi in modo ironico quella che è la situazione di molti musei italiani di oggi, che rischiano di chiudere per il loro essere troppo restii al cambiamento e all’aprirsi al pubblico. È surreale pensare che un museo, da istituzione che si dovrebbe essere la prima ad aprire le porte ai visitatori, finisce per volere il contrario. Finisce per accogliere solo certe élites di esperti, o di colti esemplari umani (sempre più rari), che trovano interesse in didascalie storiografiche e auliche, occasionalmente di accompagnamento a certi dipinti (la maggior parte sono direttamente “muti”).

Se il museo fosse un’entità autonoma, capace di produrre e consumare internamente tutto ciò che ha bisogno, non ci sarebbero problemi (salvo di tipo culturale e sociale) economici. Tuttavia, la realtà non è così: i fondi pubblici scarseggiano, e sempre più c’è la necessità di finanziarsi con i cosiddetti “ricavi da mercato consumer” (orrore per ogni conservatore museale!). Ossia, con i biglietti pagati dai visitatori. Questi biglietti, però, per giungere nelle casse del museo, hanno bisogno di qualcuno che sia incentivato e interessato a portarceli. E, purtroppo, il numero dei suddetti esperti colti non è sufficiente a far andare avanti la macchina del loro luogo di studio.

Piuttosto che rischiare la chiusura, qualche volta, è il caso di concedere una chance al marketing, e chiedere il suo aiuto…

La Riforma del signor Franceschini del 2014 è giunta giusto giusto a proposito. Senza tediarvi qui con i suoi contenuti, quel che più ha di importante è il nuovo focus delle istituzioni culturali italiane: la “valorizzazione”. 

Va bene tutelare e salvaguardare il nostro inestimabile patrimonio, ma, al giorno d’oggi, è necessario anche valorizzarlo. E che cosa vuol dire esattamente “valorizzare”? Vuol dire due cose, che mettono d’accordo tutti: curare i beni, e creare con questi del vero “valore”. “Valore” per chi? Valore per il pubblico, valore per i visitatori di tutte le età e di tutte le classi sociali, così da massimizzare davvero il prestigio che i nostri tesori culturali possiedono. 

Ed ecco che entra in gioco il marketing. 

Il ruolo del marketing (lo dico per distruggere i soliti pregiudizi) non è quello di “vendere” e basta. Anzi, “vendere” è l’ultima cosa, è la conseguenza che arriva da sola, se il marketing ha fatto bene il suo lavoro. Il suo compito è portare all’interno dell’organizzazione (qui il museo) il punto di vista del cliente (qui i visitatori), così da fare in modo che l’offerta sia più che allineata alle sue aspettative. L’obiettivo è la soddisfazione.

E questa soddisfazione, può davvero soddisfare tutti. Può soddisfare il museo in quanto istituzione, che mantiene la sua missione di conservazione e di studio, facendosi anche “educatore” concreto della comunità. Può soddisfare i cittadini, finalmente contenti di “andare al museo”, non più solo per sperare di imparare qualcosa, ma anche per avere occasioni di socialità e, perché no, di divertimento. 

La cosa importante è mantenere un equilibrio tra l’orientamento tradizionale alla collezione, e quello al visitatore. Non bisogna tradire le origini istituzionali trasformando il museo in un parco giochi, ma neppure renderlo un luogo triste e inaccessibile per la maggior parte della popolazione. 

Avendo chiaro questo nuovo obiettivo di valorizzazione, bisogna capire come metterlo in pratica. La prima cosa è capire che cosa si vuole offrire al pubblico. 

Ebbene, i signori curatori devono abbandonare l’idea di essere produttori (o meglio espositori) di “beni”. Il museo non produce i suoi quadri per i clienti. Non è un panificio! Al contrario, il museo è un fornitore di “servizi”. E, per “servizi”, bisogna intendere in senso molto ampio l’esperienza di visita.

Se è questa “esperienza” che il visitatore deve poter trovare nelle sale, diventa necessario costruirla e curarla al meglio in ogni sua parte. Non si guarda più solo al quadro appeso dritto, ma si allarga la focalizzazione. 

Il marketing, con un po’ di sana ricerca sul come il pubblico medio vive una gita al museo, più fornire spunti interessanti. Le didascalie sono un primo punto: è ora di renderle comprensibili anche ai poveri ignoranti (in senso buono, ovviamente), nonché arricchirle di informazioni interessanti. Poi ci sono i laboratori educativi, e i percorsi per bambini e famiglie. Poi il mondo digitale, che tanto piace ai giovani. Per non parlare dei servizi ausiliari: dal caffè al bookshop, che possono benissimo entrare a far parte di un’esperienza di visita di qualità.

Insomma, di lavoro da fare ce n’è in abbondanza, e il marketing può davvero essere d’aiuto. La collezione permanente dei nostri grandi musei d’arte italiani è una risorsa ricchissima da sfruttare in infiniti modi. Occorre capire come può essere valorizzata al meglio. Certamente, tenerla chiusa e inaccessibile al pubblico, conservandola per chissà chi, non è la migliore alternativa…